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Il Santuario della Madonna di Polsi, di origine basiliana del XII sec., in seguito ripetutamente ampliato (dell'edificio originario rimane solo il campanile), conserva una statua cinquecentesca della Madonna con Bambino, scolpita nel tufo e colorata, opera di ignoto da Siracusa, qui trasportata probabilmente nel 1560, ed è oggetto di un consistente pellegrinaggio durante i mesi di agosto e settembre. |
Il Santuario è posto in una selvaggia vallata della fiumara Bonamico. Durante i pellegrinaggi rivivono le tradizioni tipiche della religiosità popolare nei quali si mescolano motivi religiosi ed usanze precristiane.
Molto probabilmente, già all'epoca delle prime persecuzioni dei cristiani, il luogo era rifugio abituale di asceti siciliani e nelle adiacenze del Santuario si trova una grotta che, secondo una leggenda, pare abbia ospitato la perfida maga Sibilla.
Secondo la tradizione, nel 1144, un pastore di Santa Cristina che si era spinto a Polsi per ritrovare un bue smarrito trovò l'animale inginocchiato davanti ad una croce di ferro. Un'altra versione della tradizione indica il Conte Ruggiero inginocchiato davanti alla croce durante una battuta di caccia. Sul luogo sorse una piccola comunità di monaci basiliani e successivamente, fino agli anni '70, i monaci dell'ordine di San Paolo Eremita noti per i lunghi viaggi in cerca di questua. |
"[...] Intorno al Santuario, da secoli, comunità siciliane e calabresi
si sono costruite case per ricoverare i loro cittadini nei giorni della festa che cade fra il 1 ed il
3 settembre. C’è una Domus Siculorum, come c’è una Domus Locrensium, e ne portano l’iscrizione. Questa nostra Madonna che non ha nulla di dolce, bensì d'imperioso, nessuno può muoverla dalla sua nicchia senza che avvenga il terremoto, e per poterla portare in processione, poichè non c'è festa senza processione, se n'è fatta una copia ma più leggiera e non così bella. Questo culto nacque in modo del tutto favoloso. C'è di mezzo un re, il Conte Ruggiero, una caccia con levrieri, un miracolo. Andando il Conte Ruggiero sull'Aspromonte a caccia, sentì i suoi levrieri gridare lontano. Accorse trovò un bue che inginocchiato frugava col muso la terra. Fu rinvenuta in quel luogo una croce greca, nacque così il culto della Madre di Dio." Corrado Alvaro |
(guarda l'interno del Santuario) (guarda l'esterno del Santuario) |
Paesaggio delle baracche di felci
L'alba era ormai schiarita, il sole tentava di penetrare nelle valli fresche e scure, cominciavano sulle vette più alte le cicale a cantare, mentre in basso la voce invernale dei torrenti strepitava come chi non vuole ascoltare. Poi cominciò il paesaggio delle baracche di felci, dove tenevano bottega per i pellegrini i vinai, presso le fonti limpide, e le strade di confluenza dove arrivavano dagli altri paesi ubriache di canti, di chiasso, di vino, e i malati che levavano il viso emaciato dalle barelle, r gli ubriachi che andavano pencolando sul ciglio delle strade come i muli. Si spalancarono gli abissi delle valli, le gole dei burroni, tra un coro assordante di grida, uno sventolio di cappelli, e di fazzoletti, i pazzi colpi dei fucili: apparve il santuario bianco con la sua dorma di vescovo mitrato, in fondo alla valle. Corrado Alvaro (1930)
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I cuori si fondono
I pellegrini si radunarono sulla estrada maestra. (...) Avevano tutti il viso illuminato da una letizia insolita; un sentimento comune, che in alcuni si manifestava in forme chiassose, in altri rimaneva chiuso in un contegno severo, li univa tutti in quel momento. (...) Alcuni andavano al santuario a sciogliere un voto fatto durante una grave malattia, o in un altro frangente doloroso; altri, oppressi da un prepotente, andavano a chiedere un castigo ch'essi non erano capaci di dare; altri ancora, delusi dalla giustizia degli uomini, andavano a invocare una giustizia più sicura e imparziale; altri, infine, non potendo incolpare dei propri mali una persona determinata, andavano senza odio, sperando soltanto qualche sollievo: portavano tutti nel cuore un voto per sé o per una persona lontana, una speranza, un desiderio ardente di vedere ascoltati i propri lamenti e esaudite le proprie preghiere. Si sentivano tutti uguali: buoni e cattivi, peccatori e innocenti; tutti ugualmente degni di ottenere le grazie che andavano a invocare; (...) anche gli affanni pareva che fossero diventati comuni. (...) Era uno di quei momenti in cui i cuori degli uomini si fondono in un cuore solo che può contenere tutto il dolore e tutta la speranza del mondo. Fortunato Seminara (1942) |
Una festa dionisìaca
La festa di Polsi non ha nulla di quel lugubre scenario di altri santuari dove si radunano i morbi e le deformità di tutta una regione, in cerca di grazia e di salute. Questa somiglia più che altro, a un immenso baccanale religioso, a una festa dionisiaca, dove si va come a una scampagnata, tra i monti, e si mangia, si prega anche un poco, e con fervore, ma soprattutto si danza. Il ballo è la caratteristica più spiccata della solennità. In ogni angolo ove esistono quattro metri quadrati di terra pianeggiante, sotto ogni noce, una zampogna, o una fisarmonica fanno circolo. Intorno si dispongono dei pellegrini, uomini e donne, scelgono un maestro di ballo, uno cioè che guidi la danza, - la quale ha le sue leggi e le sue regole cavalleresche che possono condurre al sangue in un attimo - e si mettono a danzare con un ritmo orgiastico, sventolando le mani, le braccia, i capelli, i fazzoletti istoriati con versi amorosi, gittando gridi gutturali acutissimi, come squittire di bestie selvatiche. Tutta la valle è un brulichio e un trepestio sonoro. A guardarla panoramicamente quella folla che salta per dei giorni e delle notti intere, sotto il sole cocente, sudata, ansante, con gli occhi infoschiti dall'afa e dalla luce, in mezzo a un polverone spesso e fumoso, dà l'idea di una specie di ubriacatura panica, di un popolo preso da un morbo sacro. Francesco Perri (1928)
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