Il dossone della Melìa
La zona, oggetto della nostra ricerca, è la parte centrale del lungo crinale peninsulare,
che, con quote oscillanti tra gli 800 e i 1000 m., collega l'Aspromonte con le Serre.
Denominato "Dossone della Melìa" o più comunemente "Dorsale tabulare", esso ha forma di uno
stretto ed allungato istmo montano, coincidente con l'asse orografico e, a guardarlo dal Tirreno,
si presenta come una barriera naturale dal profilo molto regolare e continuo.
II diaframma orografico, che separa il versante ionico da quello tirrenico, si va tuttavia assottigliando
a causa della erosione regressiva, tanto che si presenta, oramai, come un relitto destinato a
sparire.
L'estrema forma di degradazione, dovuta ai selvaggi disboscamenti dei secoli passati e ai dissesti
idrogeologici conseguenti, è riscontrabile a settentrione, nelle alte valli del Torbido e dello Sciarapòtamo
ed è più vistosa nella sezione meridionale, in corrispondenza ai bacini idrografici dei torrenti
Marro e Ciminà e della fiumara di Platì.
Nella sezione centrale, che è quella che più ci interessa, la Dorsale tabulare presenta, invece,
da nord a sud, un susseguirsi di pianori più o meno ampi, cui corrispondono i toponimi: Lenza di Gerace,
Piano di Melia (comprendente il Piano di Marco ad ovest e il Piano Liso ad est), Piano Tonnara o
Piano di Chiusa, con uno stretto prolungamento biforcato verso sud-ovest, in direzione del Piano
di S. Trabisso e verso ovest, in direzione del Passo di Scarpa della Pietra.
Molte sorgive perenni affiorano dalle prime e più alte depressioni vallive da Canolo a Parrone,
dal Piano di Marco a Palazzo, dall'Acqua Bianca alla fontana di Zomaro,
da Morreale a Cucurucà, a Scarpa della Pietra.
La più evidente caratteristica della Dorsale tabulare consiste, comunque, nell'avere essa costituito
la via naturale delle grandi migrazioni lucane e bruzie provenienti da nord oltre che delle antiche
popolazioni attestate al di qua e al di là del crinale longitudinale. La persistenza nel tempo di tale
percorso, oggi riproposto dalla comoda strada di bonifica montana, che ne ricalca pressappoco l'andamento,
è documentata dalle tavolette dell'I.G.M., che riportano il toponimo "Via Grande".
La lunga gittata, la direzione, la posizione baricentrica tra le due coste, il contemporaneo avvistamento
dei due mari, con la sensazione fisica del fenomeno peninsulare, sono tutti requisiti atti a farne,
sin dai tempi più remoti, un indiscutibile elemento di aggregazione territoriale. Ma per un altro
elemento ancora la Dorsale tabulare presenta un notevole interesse: ci vogliamo riferire alla importanza
dei due controassi trasversali che, seguendo i due crinali laterali, dal Passo del Mercante (a quota 952)
e dal Passo di Scarpa della Pietra (a quota 836) collegano il versante ionico con la Piana di Gioia Tauro
direttamente, mentre tutti gli altri passi esistenti o più a nord o più a sud attuano questo collegamento
in maniera indiretta.
Distese di felci, foraggi e prati puntellati di forme vistose di tasso barbasso si susseguono alternandosi
a radure boscose che debordano nei due versanti rivestendo i fianchi delle forre con una fitta vegetazione
di pini, lecci, faggi, accompagnati da specie secondarie della macchia mediterranea come l'erica (ivi "burvera"),
il corbezzolo (ivi "cacomurara"), la ginestra, il pungitopo (ivi "rusculara"). In particolare il
Dossone, che un tempo era, nella sua parte mediana, una distesa continua di felci, è stato nei
decenni passati rimboschito ad opera della Forestale ed ora vigoreggia di selve continue di pini,
camacipare, abeti, tuie, misti al pioppo bianco, ripristinando, almeno in parte, l'antica facies
magnogreca o pregreca di questa parte dell'Appennino calabrese, le cui conifere fornivano a Locri,
tra l'altro, una resina pregiata.
In concomitanza a tali peculiarità si possono ancora rinvenire, seppure in via di estinzione, i contenuti dell'economia montana, basati da sempre
sul legnatico e sulla pastorizia. Dei due versanti, che dal crinale longitudinale si dipartono mediante impervie e frastagliate dorsali, quello tirrenico
presenta alcune caratteristiche uniche, quasi ancora partecipe di eventi geologici dissoltisi milioni d'anni fa.
Nel vallone dello Sciarapotamo, discendente dalla Limina e un po in tutte le forre dipartentesi dalla linea di crinale verso il Tirreno, si ritrova una
delle curiosità più singolari della nostra flora: la gigantesca felce tropicale Woodwardia radicans, con foglie lunghe sino a un metro e
ottanta, relitto del terziario. Al Fosso Corvicello, poi, al Torrente Serra, sotto Scarpa della Pietra, oltre che al torrente Pietromaio, affluente di
sinistra dello Sciarapotamo, e nella località Pigadi di Galatro, si nota il fenomeno delle stazioni eterotopiche dei faggio, cioè di nuclei
residui di faggete sopravvissute a quote molto basse dall'epoca post-glaciale.
La fauna, anche in relazione ai vari piani di rimboschimento e di ripopolamento, messi in atto negli anni passati, comprende oggi il cinghiale, che
è assai diffuso, la lepre, la volpe, la faina, la martora, il tasso, il gatto selvatico. L'avifauna comprende, come usuali, il cuculo, l'upupa,
il merlo, il corvo reale, la ghiandaia (ivi «pica»). Presenti anche alcune specie rarissime di animali, considerate oggi specie da proteggere, come il driomio, grazioso animaletto di colore fulvo, simile al topo quercino ma di taglia più piccola (ivi «natuledu»), la bramea, farfalla notturna identificata nel 1963 come «Brahmaea europaea», il colubro leopardino dai bellissimi colori (Elaphe situla). II lupo, soprannominato ivi «Cola» e che un tempo doveva essere massicciamente presente, è sparito durante il primo ventennio di questo secolo per la caccia spietata fattane da pastori e cacciatori. Sappiamo di certo che sino al secolo passato era presente anche il cervo, come è possibile la presenza nei tempi antichi dell'orso (Ursus arctos), di cui, salvo la possibilità non è rimasto neppure il ricordo.
Bisogna aggiungere che la coscienza di queste peculiarità fisicoantropiche era presente anche negli studiosi e negli osservatori dei secoli passati.
Citiamo per tutti l'Arnolfini, come proposto dal Volpicella, in quanto il più adatto a presentarci un territorio (quasi una piccola provincia, egli
dice) la cui unificazione economico-politica, non ostacolata ma anzi favorita dalla dorsale istmica, era già avvenuta con i Locresi dal VII sec. a.C.
e da allora era continuata quasi ininterrottamente, attraverso i Romani, sino al Gran Capitano, agli inizi del sec. XVI e poi, con i Grimaldi, sino alla
fine del '700. Presentando la sua "Dissertazione sopra i feudi della Principessa di Gerace" così egli scriveva, tra l'altro, nel 1768:
"Per diverse vie si può salire e valicare l'Appennino. La migliore via però è quella di Casalnuovo.
Si salgono per uno spazio di circa tre miglia diversi monti, i quali sono per la maggior parte terrenosi e sopra essi si potrebbe con mediocre spese fare
un facile e comodo cammino.
Si giunge dopo le dette tre miglia sopra un piano quasi regolare e che ha solamente diverse ineguaglianze non maggiori di quelle che si ritrovano nella
campagna romana. Si estende un tal piano poco meno che in tutta la Calabria Ulteriore occupando ove maggiori ove minori larghezze. Nel territorio
però di Terranuova e Gerace meno si innalzano i monti e più esteso è il sopradetto piano. Onde può dirsi che detti feudi
siano stati contraddistinti dalla natura".
Negli appunti di viaggio lo stesso Arnolfini descrive cosi la vecchia strada che portava al Passo del Mercante e che è stata rappresentata dal
Minasi al colle Palermo, essa prendeva l'avvio al piano di Casalnuovo (oggi Cittanova) dalla Fontana dello Schioppo e dal Fosso Cavaliere: «la strada
costeggia il Razzà e poi si accosta al Vacale... nel piano in cima a quell'Appennino si potrebbe fare
una buonissima coltivazione di grani... ci sono bellissime posizioni di villeggiature d'estate: ha nelle sue pendenze la montagna dei folti boschi di faggi
e di abeti».
Il Piano sopra nominato divideva il Ducato di Terranova dal Principato di Gerace. Lungo quel confine l'Arnolfini «andrò dalla parte del grecale
per vedere il luogo disputato tra il territorio di Gerace e di S. Giorgio: si disputa di un piccolissimo pozzo di terreno, che non renderà alcun
frutto e la disputa riguarda non la verificazione del Vacale ma di un'antica strada consolare». Questa strada consolare, corrispondente alla
Via Grande, era appunto il vero confine in quanto tagliante il Piano in tutta la sua
lunghezza.
Vorremmo infine osservare che se un motivo vi fu perchè i Locresi cambiassero sito alla loro città, portandola da Capo Zefirio alla collina
di Esopi (attuale zona di Locri-scavi) questo consiste essenzialmente nel fatto che sulla linea della risalita dal nuovo sito verso la montagna essi si
imbattevano in una serie di ripiani non molto alti, ricchi d'acque perenni, d'alberi e di selvaggina, dai quali, attraverso i passi sopra citati, potevano
guadagnare direttamente e in poco tempo la Piana di Gioia Tauro e il mar Tirreno. Per questi stessi motivi noi pensiamo che un attraversamento della
Dorsale tabulare sia iniziato e in modo intensivo assai per tempo, su pista già sperimentate, che erano la stesse percorse dalle popolazioni
ivi preesistenti alla fondazione di Locri Epizefiri.
Il testo è stato tratto da:
"TINNARIA: antiche opere militari sullo Zomaro" - prof. Domenico Raso -
articolo pubblicato su Calabria Sconosciuta A. X gen-mar 87.
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