La
Parola a Alberto Cavaliere
INCONTRI CON
GLI EROI DEL NOSTRO TEMPO
1 - IL PENSIONATO STATALE
L'ho incontrato ai Giardini. Era un omino
pallido, smunto,
con lo sguardo assente;
attraverso il
vestito trasparente
gli si contavan
l'ossa, poverino.
Magro, sparuto; ai
piedi (o mi sembrò?)
aveva le ciabatte
di Charlot.
Dapprima mi guardò
con diffidenza,
quando gli dissi
ch'ero un giornalista;
ma dopo mi concesse
un'intervista,
dicendomi: « Sia
breve, abbia pazienza;
ho poche forze ed
il parlar mi nuoce,
per cui mi tocca
risparmiar la voce ».
Mi chinai su di lui
rabbrividendo:
sentiva di
cadavere... In un soffio:
« Io son », mi disse, « il cavalier Scartoffio,
pensionato statale
». «Ora comprendo! »:
gli strinsi con la
massima cautela
la mano, gialla
come una candela.
« E dica, come mai non e ancor morto? ».
« Che cosa vuole! Il caro-funerale ... ».
« E come passa il tempo? ». « In generale,
leggo il Conte Ugolino e mi conforto;
pensi che,
nonostante i miei sbadigli,
non ho mangiato
ancor nipoti e figli! ».
« Una gran forza d'animo
la sua!
Si parla dei digiuni
memorandi
fatti dalla buon'anima di Gandhi,
che al suo
confronto è stato un Gargantua... »
Gli chiesi: «Posso
offrirle uno spuntino? ».
«Grazie, ier
l'altro ho preso un cappuccino ».
«Ci facciamo due
passi? », «è una parola,
caro signore! ». «E dica, in
che partito
milita? ». Apri
le labbra il denutrito,
ma la risposta,
ohimé, gli mori in gola,
e per farsi capir
pur senza voce,
tracciò nell'aria
il segno d'una croce.
«Ora spira! », pensai;
ma in quel momento,
vedendo un gruppo
d'uomini ribelli
che passavan di là
con dei cartelli,
«Pace e
giustizia », « Alloggio e nutrimento
»,
«Il pane
ai pensionati» e casi via,
in lui si ridestò
qualche energia.
Si scosse
dai suoi squallidi pensieri:
« Presto, m'aiuti a sollevar le braccia! ».
L'aiutai: fece un
gesto di minaccia:
« Assassini! », gridò. « Filibustieri!
Nemici delle patrie
istituzioni!
Porci! Venduti! », e cadde giù
bocconi.
***
2 - SNOB
Ad ogni guerra,
Perduta o vinta,
segue una moda più o meno
spinta.
Nel '19, quando Parigi
sembrava al colmo
dei suoi prodigi,
lanciando il tipo
della garçonne,
fece insanire tutte
le donne.
Che tempi quelli
per le ragazze!
Eran di moda le
idee più pazze.
La donna, stanca di
far la schiava,
a tredici anni si
emancipava:
giacca e cravatta,
capo scoperto,
capelli corti,
quasi all'Umberto;
una borsetta di
pelle fina,
con dentro un
grammo di cocaina.
Tra maschi e
femmine, in apparenza,
nessuna traccia di
differenza,
benché restasse
sempre integrale
la differenza
fondamentale,
che sembra niente,
ma che ben tosto
rimise quasi le
cose a posto.
La moda, invece,
ch'oggi imperversa,
è di natura molto diversa.
Dei suoi seguaci
più accreditati,
fra vitaioli
spregiudicati
e « gagarelle » più o meno sciocche,
nell'ora sacra del faivoclocche
trovi in Via Monte
Napoleone
un campionario che
fa impressione.
è, nella vecchia plebea Milano,
il buen retiro del
baciamano:
è il
profumato tempio dell'ozio,
dove non trovi solo il negozio
o il caffeuccio piatto e volgare,
ma un angoletto crepuscolare,
dove, fra inchini, profumi e vezzi,
son profumati più ancora i prezzi.
Vi ricordate di
quel « gagà »
che imperversava
tanti anni fa?
Era lo scemo senza
un « luigi »,
che sospirava la
sua Pavigi;
era il decoro del
marciapiedi,
che amoreggiava con
una lady;
era l'artista della
stoccata,
che redimeva la
cicca usata.
il cavaliere
dell'erre moscia,
l'eroe mancato
della deboscia,
senza speciali
complicazioni
oltre alla riga dei
pantaloni.
Rinvigorito dopo
tre lustri
da una panciata di
film illustri,
da ricchi sorsi di whisky and soda
(una bevanda sempre
alla moda)
e da una nuova
ricchezza-lampo,
il « gagarone » del
vecchio stampo
s'è trasformato nel
fatalone
che va per Monte
Napoleone.
è un esponente del tempo nostro:
no, poverino,
niente Cagliostro,
né Casanova, né Don
Giovanni;
è un imbecille Sul
fior degli anni,
i cui
problemi fondamentali
sono i pullovers sensazionali,
il bridge, il
tennis, le corse,i cani,
(<< Son
cosi pveso tutto
domani! »),
e la sua « scatola
»: la
mille e cento
(<< racchia », ma
in fondo non n'è scontento).
Certo, è un ragazzo molto pulito:
« Il bagno è l'uomo », proclama e
uscito
di casa, sente d'un
fresco effluvio:
egli è un assiduo
del pediluvio.
Per l'eleganza non
bada a spese:
indossa un abito di
stoffa inglese
(stoffa che a
Biella fu fabbricata,
è per inglese che l'ha pagata).
In una tasca dei
pantaloni
ha una manciata di
bigliettoni
e quando occorre,
ligio all'usanza,
li tira fuori con
noncuranza,
quasi confuso - vi fa capire -
che non sian
dollari, ma appena lire.
Ha il bar in casa,
dove agli amici,
tutti più o meno
ricchi e felici,
offre un cocktail, con
cui sfidate
tutti i veleni di
Mitridate.
Dopo ingerito
quell'elisire,
comincia l'« orgia »: sarebbe a
dire,
s'attacca un disco
con un jazz negro
o brasiliano,
triste od allegro,
e
s'accompagna: du du du du,
sotto una luce
violetta o blu.
Quindi, esauriti
cinque o sei dischi,
si beve
un dito di falso whisky,
s'esclama in coro:
«Però, che vita! »,
e si va a letto: l'« orgia » è finita.
Non c'è mai caso
che quel baggiano
risponda al mite
nome: Gaetano;
sul suo biglietto
non c'è mai caso
che porti scritto
Rocco o Tommaso:
sta pur sicuro che
il signorino
si chiama Bepo, si
chiama Pino,
si chiama Gege, si
chiama Memo;
innocuo in fondo,
ma tanto scemo!
E se davvero veder
lo vuoi
« nel quinto cielo dei fasti suoi »,
dove il suo genio
più se la fa,
è nelle sale del
cinemà
Li favellando delle
« riprese
»,
sfoggia i sei
nomi del proprio inglese
(sei nomi in tutto,
ma s'è convinto
che sa l'inglese
quasi d'istinto,
e che fa parte di
quell'élite
che parla il gergo
di Broadway Street).
Trova ch'è buona la
« dissolvenza »,
che il film è fatto con diligenza;
osserva pure ch'è
indovinata
e originale la « carrellata
»,
che per l'effetto
dei « primi piani »,
ci sono solo gli amevicani
Spesso a godersi
va, in un locale,
dei film esotici
l'originale,
senza il
doppiaggio, che toglie il pregio,
che sa di trucco,
ch'è un sacrilegio:
no, chi ha sentito
la voce autentica
di Rita Haywort,
non la dimentica!
E in italiano com'è
indigesta!
« Fovse è la lingua che non si pvesta ».
Questo, il ritratto
del « gagarone »
che va per Monte
Napoleone
e al socialismo
perdonerà,
purché sia quello
di « Savagà »..
è lì che trovi
,spirituale,
fine, moderna, la
pia vestale
dell'eleganza, di
quel buon gusto
che ormai dilegua
da un mondo frusto.
è molto ricca la signorina:
mamma ha venduto
tanta farina!
Non bada a spese
madamigella:
babbo vendeva la
mortadella
ed ha rischiato fin
la galera,
quando regnava la
borsa nera!
Come si chiama? Carla?
Marianna?...
No, ve ne prego,
freme, si danna,
se le affibbiate
siffatti nomi:
lei non demorde da
certi assiomi,
per cui la vita
senza l'« i » greca,
che in altre lingue
tardo si spreca,
o per lo meno senza l'« e » muta,
non val la pena d'esser vissuta.
Giunta alla soglia dei quindici anni,
perciò si chiama Lilly, Lully,
Anny, Mary, a
seconda dei suoi capricci:
se tutto manca, si chiama Cicci.
Le americane: lo
so, lo so,
per imitarle fa
quel che può.
Compra famose
riviste esotiche
e, quando sfoga le
smanie erotiche,
dice: « my darling »: c'è più decoro
che in quei
nostrani « caro» o « tesoro »,
Carezzerebbe l'idea
chimerica
di trasferirsi nel
Nord-America:
in base ai film
ch'ella ha ammirato,
quello è un paese
spregiudicato,
dove la donna sposa, fa il corno,
e poi divorzia,
tutto in un giorno.
Se avesse avuto più
iniziativa,
avrebbe forse fatto
la diva:
qui c'è un ambiente
più provinciale,
che, in certo
senso, le tarpa l'ale...
Sputa pensieri
triti e ritriti
sui vari Freud mal
digeriti,
parla di Sartre, di
Salacrou
(<< Mi piace un pozzo ». «Non mi va giù »):
non ha mai letto,
naturalmente,
neppure un rigo di
quella gente.
ma sa che
anch'essi, col whisky and soda,
sono dei nomi molto
alla moda.
E. nonostante tanta
cultura,
quando si sente
sola e sicura,
legge i romanzi
dell'Invernizio,.
cambiando il nome
sul frontespizio.
La troverete
nell'ore buone
in quel di Monte
Napoleone.
che, nella vecchia
plebea Milano,
è il buen retiro del
baciamano.
***
3 - INCONTRO CON UNA LETTRICE DI LIALA
«La posso
accompagnar, madamigella?
Solo un momento: è
tanto che la spio,
e voglio
intervistarla ». « Eh, signor mio,
voi non fate per
me: son troppo bella!
Siete, aviatore? ». « Ohimé, no, signorina! »,
«Siete almeno
ufficiale di marina? ».
« Neppure! ». « Siete almeno un milionario?
Possedete
automobili, palazzi
in riva al mare,
favolosi arazzi
di Persia,
laspislazzuli? ». « Al contrario:
ho il lapis solo...
Làzzuli - che
sogno!-
io non n'ho avuti
mai: me ne vergogno! ».
«Mettete sotto i piedi
delle amanti
doviziose pellicce
d'ermellino?
Partecipate al
Derby di Dublino?
Usate dei profumi
ossessionanti?...
Non siete un
personaggio di Liala,
col cuore insonne e
l'abito di gala? »
« lo sono un giornalista
... », « Ah, ma sicuro!
Scrivete ardenti lettere
d'amore
su carta del
Giappone alle signore?...
Oh, chiamatemi Tea,
ve ne scongiuro!...
E con la penna
avete molta pratica.
o fate degli errori
di grammatica? ».
«Non credo: ho la
licenza elementare ».
«Oh, come invidio
le persone colte!
lo pure, però,
leggo: ho letto molte
novelle, e
confidenze a tutt'andare ... ».
« Conosce Dante, Alfieri
... ? ». « è gente? ricca?
Per me i pezzenti valgono una cicca ».
« Ma dica, ha letto almeno i malfamati
Promessi
sposi? ». «Mi prendete in giro,
signore? Nei
romanzi che più ammiro,
gli sposi sono
tutti divorziati ».
«Però, bellina: un
tipo novecento.
Potrei sperare in
un appuntamento? ».
«Soltanto se
verrete in automobile,
e accompagnato da
un autista incauto:
sognerei tanto un
incidente d'auto,
un bello scontro,
mentre il tram ignobile,
a parte qualche
pizzico plebeo"
non vi dà nulla: è
roba da museo...
Verrete, allora, a
prendermi domenica
nel pomeriggio? ». « A sua disposizione
».
« Ma adesso salutiamoci, barone:
è tardi, e la padrona è nevrastenica.
Io fo qui la domestica: san giunta...
Domandate di me: Cacace Assunta ».
***
4 - L'INSEGNANTE DEMOCRISTIANO
Entra il signor
maestro. Alla parete
il papa e il
Crocefisso (fra non molto
anche il signor De
Gasperi, col volto
aureolato e in
abito da prete).
Una lode al
governo, una al Signore,
e: « Cominciamo
», dice
il precettore.
Adesso, nelle
scuole clericali,
ci sono due
materie: il catechismo,
spiegato a parte, e
l'anticomunismo,
che abbraccia le
materie principali...
Ond'egli inculca ai
cari giovanetti
questi sublimi e
semplici concetti:
« Don Garibaldi prete: adolescente,
compi tutti i suoi
studi in seminario,
partì per
l'Uruguay, pio missionario,
dopo tornò in
Italia e santamente,
di Sant'Ignazio
illuminato erede,
si batté per il
papa e per la fede...
Dante Alighieri, il
sommo fra i
poeti, scrisse un
poema, definito eterno,
in cui narra un
viaggio nell'inferno,
ovvero nella Russia
dei Sovieti,
nonché nel
paradiso, ove in forbiti
versi preconizzò
gli Stati Uniti...
Un eretico pazzo,
il Galilei
(per poco non finì
sull'empia pira!),
assicurava che la
Terra gira,
mentre la Terra è ferma, cari miei;
specialmente l'
Italia vescovile.
ferma alla data del
diciotto aprile ... ».
Sistemate le
lettere, la storia
la geografia con
sintesi felice,
il buon maestro
s'alza, benedice
la scolaresca - pater, ave e gloria -
e chiude la lezione
austera e pia,
nel nome di
Gonella. E cosi sia.
***
5 - CLARK
GABLE
T'invidio, Clark,
eroe lungo-orecchiuto,
astro fulgente che
le folle abbaglia:
tu sei la più
simpatica canaglia
che il mondo dello
schermo abbia veduto.
E corri fra il
Pacifico e l'Atlantico,
spensierato cow-boy della
violenza.
T'invidio, Clark:
in te la prepotenza
acquista quasi un
fascino romantico,
Tu signoreggi fra
gli avventurieri,
in un mondo
selvaggio e primordiale,
dove a colpi di
scure e di pugnale
avanzano i banditi
e i pionieri;
passi con la tua
aria scanzonata,
con i tuoi pugni e con la tua
pistola;
e gli uni o l'altra han l'ultima parola,
dandoti la vittoria
incontrastata.
E tu sorridi sotto
i lievi baffi,
o fatalone per
antonomasia,
moderno scita che
il bel sesso estasia
mostrando i denti
e dispensando schiaffi.
Sei Don Giovanni
che mutò favella
e la maniera forte
ha inaugurato,
invece d'una rosa o
d'un gelato
offrendo un
manrovescio alla sua bella.
T'invidio, Clark, e
sogno il tuo coraggio
e quel tuo piglio
tra l'apache e l'unno,
come, leggendo
Sàlgari, da alunno
sognavo la riscossa
e l'arrembaggio.
Penso alla sorte
che mi fu matrigna,
io che temo mia
moglie e il principale.
E guardo il tuo ritratto
sul giornale,
ritratto che mi guarda e che
sogghigna.
Ma, in fondo, mi conforto, io
derelitto:
tu, quando smetti i panni
dell'attore,
forse diventi un
semplice signore,
timido e mite come
il sottoscritto:
e in casa non hai
più quel piglio audace
che tanti al1ori al
cinema raccoglie ...
Dimmi la verità:
quando tua. moglie
ti dà un ceffone,
tu lo incassi in pace!
§§§§
INCONTRI CON GLI
EROI DEL TEMPO ANTICO
6 - AMLETO
Un giorno Amleto
nel suo castello
vede lo spettro del
padre amato,
che gli rivela: « M'ha
avvelenato
quel farabutto di
mio fratello
e, ancor di pianto
fresco l'avello,
la sposa e il trono
m'ha poi soffiato ».
Nel dolce cuore del
giovanetto,
che vagheggiava
sublimi aurore,
angelo nero scende
il dolore:
un dubbio atroce
gli cova in petto;
ed egli insorge
contro ogni affetto,
spregia la gloria,
sdegna l'amore.
Si finge pazzo,
vaneggia e celia;
contro la Corte,
che n'è accasciata,
dalle sue labbra
scocca spietata,
come una freccia,
la contumelia.
Simula pure dinanzi
a Ofelia,
la pia fanciulla
che ha tanto amata.
Quando la incontra
sulla sua via,
più non la tratta
che a teschi in faccia:
« Va in un convento! », cosi
la schiaccia
sotto il macigno
dell'ironia.
alla tapina cascan
le braccia
dinanzi al ghigno
della follia.
Vede sfiorire nel
triste oblio
le rose, un tempo
così leggiadre.
Il fosco prence le
ammazza il padre,
gran ciambellano
del Re suo zio;
e l'orfanella, già
senza madre,
si getta in acqua
volando a Dio
.
Amleto (essere
oppur non essere?)
nell'incertezza
trafigge tutti;
la sua vendetta
continua a tessere
e, chi di ferro chi
in mezzo ai flutti,
mentre nel regno
cresce il malessere,
casati interi
vengon distrutti.
Nel cimitero poi si
diverte
a intervistare
l'affossatore,
fra un brano e
l'altro, fredda Laerte;
il Re s'abbatte;
lui stesso muore;
l'iniqua madre
rimane inerte ...
Si salva il solo
suggeritore.
***
7 OTELLO
Dopo che Otello - regolarmente -
domò l'orgoglio del
mussulmano,
fu dal Senato
repubblicano
mandato a Cipro
come reggente.
Cassio era il fido
luogotenente,
Jago l'alfiere del
capitano;
del capitano, che
un dì conquista
una fanciulla che
impalma e adora,
mentre dal Doge
giustizia implora
il di lei padre,
persona in vista,
perché - sostiene -
lo disonora
quel matrimonio di
razza mista.
Jago era un uomo
pieno di fiele,
che odiava il capo,
nonché il compagno,
e che credeva,
bieco e grifagno,
nella potenza d'un
dio crudele,
per cui, tenace
sinistro ragno,
ordiva solo malvage
tele.
Tolse a Desdemona
un fazzoletto
che il nero sposo
le avea donato,
e fece in modo che
poi trovato
fosse di Cassio
vicino al letto:
più nero, morso dal
rio sospetto,
divenne Otello lo
sventurato.
E in una notte di
frenesia
il cimitero si popolò;
la sposa disse
l'Avemaria,
lui col guanciale
la soffocò
(che brutta cosa la
gelosia!):
« Come sei pallida! », indi esclamò.
Ma quando seppe del
vil tranello,
le pie memorie fra
sé rivisse,
maledì Jago, poi si
trafisse
presso l'amata, con
un coltello.
(<< Come sei pallido!» nessun gli disse,
poich'era moro,
povero Otello).
lo penso adesso: se
a causa, solo,
d'un fazzoletto sia
pur di pregio,
uno commette tal
sacrilegio
pei bassi intrighi
d'un tristanzuolo,
sterminerebbe, per
un lenzuolo,
di giovinette tutto
un collegio ...
***
8 - LA SIGNORA DALLE
CAMELIE
Fra un- atto e
l'altro d'un melodramma,
in un palchetto dei
Variétés,
un giorno, Armando
Duval s'infiamma
per gli occhi belli
della Gauthier:
siamo nell'anno
(tutto un programma)
mille e ottocento
quarantatrè.
Quelli eran tempi!
Quelle eran cotte!
Vi basti dire che
Margherita,
folle d'amore, la
stessa notte,
per lui decide di
cambiar vita:
perché non era
ch'una « cocotte »,
per quanto ancora
poco scaltrita.
Ma i sentimenti
non eran brutti:
camelie bianche.
camelie rosse;
amava i fiori
più assai dei frutti,
soffriva pure d'un
po' di tosse
(io non so dirvi
che cosa fosse:
nell'Ottocento
tossivan tutti).
Con lui, felice,
quasi in miseria.
visse in campagna,
fantasticando.
Ma il di lui padre,
persona seria,
corse a trovarla:
«Lasciate Armando!
Non è », le disse, « per cattiveria:
ho una figliuola
che sta sposando ».
E Margherita tornò
a Parigi,
gioie e camelie vi
ritrovò,
lui non comprese,
fece litigi,
di contumelie la
ricolmò,
le gettò in faccia
venti luigi,
cosi gridando: « Pagata
io v'ho!
».
Morì, da tutti
dimenticata,
mori di tisi, mori
d'amore.
Divenne, dopo, la
Travïata,
primo soprano.
Primo tenore.
divenne Armando
(che fine ingrata!)
Alfredo
Alfredo di questo core.
***
9 - I PROMESSI SPOSI
è
un maestoso romanzo-fiume
che - son già cento
vent'anni buoni
scrisse,
non privo d'un certo acume,
il milanese Sandro
Manzoni.
La sua sfortuna fu questa sola:
ch'esso divenne libro di scuola,
Ebbe un successo
stupefacente:
oggi non restan che
pochi brani,
sia per il fatto
che ormai la gente
legge soltanto gli
americani,
sia perché il
frutto d'una morale
che al tempo nostro
s'adatta male.
Quanti fastidi,
Lucia Mondella,
pur di sposare quel
tessitore!
Tutto, vezzosa
contadinella,
perché facesti gola
a un signore,
che disse a un
prete poco esemplare:
« Quel matrimonio non s'ha da fare » .
Sfuggita al bruto
che ti voleva,
ti rifugiasti
presso una suora,
che, sciagurata, se
l'intendeva
coi più famosi gangsters d'allora:
fosti rapita
(quanti spaventi!)
da una masnada di
malviventi.
Chiusa dapprima
dentro un castello,
dopo trionfasti,
come si sa,
solo assistita da
un fraticello
e dalla fede
nell'onestà,
e desti a Renzo
saggi consigli,
la pace e, credo,
dodici figli.
Se al giorno d'oggi
tu fossi il sogno
Od il capriccio d'un don Rodrigo,
oh, non avrebbe,
costui, bisogno
d'architettare quel
bell'intrigo,
mettendo in mezzo
l'Innominato,
che farà ammenda
del suo passato.
Ma ti direbbe,
semplicemente:
«Ho un palazzotto
ch'è un vero amore:
vieni a trovarmi,
senza dir niente
né al Tramaglino né
al confessore.
Cosa vuoi farne di
quel plebeo,
che non può darti
l'Alfa Romeo?
Aver gioielli,
pellicce vesti,
villa sul lago,
cambiar destino...
Lucia Mondella, tu
pianteresti
quello spiantato di
Tramaglino;
a don Rodrigo
diresti: « Si » ,
ed il romanzo
morrebbe qui.
***
10 - MADAMA BUTTERFLY
Un ufficiale della
Marina
americana, molto
gioviale,
sogna una bella
giapponesina
diciassettenne,
sentimentale.
Un «paraninfo » gliela combina:
segue un'allegra
festa nuziale.
Ella rinnega per
lui, serena,
l'antica fede dei
samurai;
però lui parte: « Mi
rivedrai,
o mogliettina, fior di verbena. .. ».
Ma i giuramenti dei marinai
son frasi scritte
sopra la rena
Per ben tre volte
col suo bisbiglio
fra i rami
in fiore la nidïata
dei pettirossi s'è
rinnovata;
lei sogna e spera:
l'è nato un figlio,
un bel pupetto dal
biondo ciglio,
nella casetta
dimenticata.
Un dì, ritorna la
bella nave,
su cui c'è l'uomo
del suo destino:
ella lo attende col
suo bambino
e col suo canto
triste e soave;
teso lo sguardo, di sonno grave,
attende invano fino
al mattino.
Dopo una notte
tutta sospiri,
esulcerata
dall'abbandono,
avvolto il corpo
del suo kimono,
la sventurata fa karakiri.
Gli americani
(niente di buono!)
giocano sempre dei
brutti tiri...
Possiamo trarne
questa morale:
per quanto ricco
come re Mida,
per quanto sembri
che vi sorrida,
l'americano vi concia male
Attento, Alcide,
ché in generale
fa karakiri chi a lui
s'affida!
§§§§
BASTA COI DUCI,
FÜHRER E CAUDILLI
11 - FAIDA DI PARTITO (1924) - Carducciana
Manda il fascio in Parlamento,
grazie a brogli elettorali,
i più celebri campioni
dei novissimi ideali.
Ecco viene Farinacci,
mastro in dir corbellerie,
e De Bono, il generale
dalle molte acrobazie.
Ecco vien Michele Bianchi,
detto ancor « senza banane »,
e il quadrupede De Vecchi,
che latrar sa come un cane.
Tutti a nuovo, in bell'arnese,
con un feudo provinciale,
con i bravi, con la villa,
l'automobile e un giornale.
Hanno agli ordini fedele
ed armata una masnada :
il c1amor delle lor gesta
empie tutta la contrada;
il c1amor delle lor gesta
causa un moto di rivolta:
hanno un ventre poderoso,
mangian tutto in una volta.
Foderato di medaglie
hanno il petto e più di boria
(poi che letto sui giornali
han la guerra e la vittoria).
Chi tranquillo passeggiava
tra il viavai d'una stazione,
mai sentendo neppur l'eco
della voce del cannone,
oggi è un ras onnipotente
e per stemma ha una tettoia :
molti ha onori ed anche aspira
alla carica di boia.
Chi gridava a perdifiato,
agitando un drappo rosso,
tempestando il pan nei forni,
mendicando un soldo o un osso,
oggi siede a ricca mensa
e, impugnando una forchetta,
canta gl'inni della patria
fra un risotto e una polpetta;
scrive articoli infiammati,
chiama, i rossi, traditori,
alla folla parla adorno
con retorici colori
e, se alcuno gli dà ombra
e gli scopre gli altarini,
d'un pugnale prezzolato
arma il pugno di Dumini.
Il vassallo dissidente
non ha scampo ed a mazzate,
mentre dorme, avrà senz'altro
le mascelle sgretolate.
Truculento il ras prepara
la solenne spedizione,
mette in punto la masnada
con pugnale e con bastone,
e gridando ed uccidendo
corre il misero paese:
tace innanzi a quella furia
il prefetto assai cortese.
E parola non fa il Truce,
che fra nuvole d'incenso
mira lieto e soddisfatto'
quelle ondate di consenso.
Quando ei vuole, ad un suo cenno
la milizia accorre armata:
va, col teschio sulla trippa,
va la fosca mascherata:
nelle case e negli uffici
entra e, come fosser ceci,
gli allibiti cittadini
manganella a dieci a dieci,
o un purgante lor propina,
poi che pensa che l'Idea
si disperda dalla pancia
grazie a un colpo di diarrea.
O Vittorio Emanuele,
faccia ed anima cattiva,
manutengolo, di ladri,
di cui gongoli ag1i «evviva »,
manutengolo di ladri,
di briganti e di lenoni,
scaccia via, finché n'hai tempo;
scaccia via questi bricconi!
o un bel giorno, finalmente,
sul porton del Quirinale
scriveremo con il sangue
questa epigrafe fatale:
«Lanciò a te, Vittorio terzo,
che il fascismo hai preso a scherzo,
dal lombardo al siciliano,
una pedata il popolo italiano».
***
12 - ELOGIO DELL'IGNORANZA (1926)
Ho ascoltato un discorsone
che mi ha molto entusiasmato:
Benedetto è liquidato
con l'astrusa erudizione.
E sentendomi giocondo,
spiritoso e intransigente,
lodar voglio apertamente
tutti gli asini del mondo.
Il padrone ci ha avvertiti,
con la solita burbanza,
che l'Italia n'ha abbastanza
di filosofi eruditi :
per l'impero degli stracci
basterà più che ad usura
la dinamica cultura
del guerriero Farinacci.
Getti il libro di latino
il balilla battagliero
e prepari il nuovo impero
con la spada e col frustino!
Viva il duce tutto far
che i filosofi non vuole!
Se abolissimo le scuole,
come usavano gli zar?
Ché se, quando lo s'imbroglia,
l'ignorante non capisce,
non appena s'erudisce,
mangia subito la foglia
e, per legge, a perdifiato
pur gridando contro Croce,
dirà, forse, sottovoce:
- Mussolini m'ha fregato!
***
13 - AVVENTUROSA (1927)
« Amare il
rischio» ARNALDO MUSSOLINI
Scrive il Fratello, il Grande Illuminato:
«La nostra gioventù,simile a un gregge,
oggi non sogna che una laurea in legge
ed un impiego al soldo dello stato,
così che la Penisola è gremita
di gente dal miraggio, a fin di mese,
di mille lire lorde, ivi comprese
le indennità di prole e carovita ».
Orsù, travetto senza fede alcuna,
iniezioni d'audacia alle tue vene!
Non vedi a, quanta gente è andata bene?
Via dall'ufficio muffo, a far fortuna!
Impiegatuccio pallido, che sai
lontano un miglio di mancati pranzi,
con il didietro logoro e dinanzi
il ventisette che non giunge mai,
che senza quell'impiego, oggi, in un vicolo
ti troveresti ad annaspar nel vuoto,
ti scuota l'ansia del domani ignoto,
t'affascini il dinamico pericolo!
La n uova Italia (quarta? quinta? sesta?)
l'avventuroso rischio ebbe per sprone:
nacque la nuova età dal Rubicone ...
attraversato col diretto in testa.
Vogliamo cuori ardenti e facce toste,
cervelli ardimentosi, animi saldi:
avete visto mai Filippo Naldi
marcire in un ufficio delle Imposte?
Accarezziamo un sogno avventuriero,
che ci sottragga a un avvenire scia1bo:
avete mai veduto Italo Balbo
far l'archivista in qualche Ministero?
Né s'impiegò Benito a un tanto al mese,
a languire di noia e d'etisia,
ma crebbe ai rischi dell' acrobazia,
ed oggi è il proprietario del paese ...
Onde ben dice Arnaldo da Milano:
« Lascia la legge e lascia la prudenza!
Abbiamo già poltroni a sufficienza:
solo chi rischia può arrivar lontano ».
Peccato che il consiglio sia di ieri!
Diversamente, avremmo annoverato,
invece di qualche asino avvocato,
qualche asino di più fra gl'ingegneri.
Del resto, tanto val l'avvocatura
quanto l'ingegneria, quando c'è l'estro:
c'è chi, con un diploma di maestro,
oggi aspira a un impero addirittura ...
Da quella scuola, in cui, senza coraggio,
curvi sui libri il macilento dorso
e inconsciamente già sogni un concorso
per la segreteria del tuo villaggio,
ascolta, dunque, il monito profondo,
mite balil1a, e appresta il cuore saldo!
Gabriel lo disse e lo ripete Arnaldo:
«Arma la prora e salpa verso il mondo! »
In quanto a me, che ho sempre amato il rischio,
mi faccio forte dell'ammonimento:
in questo scuro mar vo contro vento
e - vi par poco in questi tempi? - fischio.
***
14 - ANNO DECIMO (1932)
Il Truce, sempre nuovo e sempre vario,
ha rubato il mestiere a Barbanera
e già per l'anno decimo dell'Era
ha compilato il nuovo calendario.
Sono previste tutte le disgrazie:
le parate, i comizi ed i sermoni,
e le superbe tappe, e i canti e i suoni
di cui da tempo abbiam le tasche sazie.
Gonfio di gloria, turbina il Destino;
ed ogni cosa avrà la sua battaglia:
il grano, il pepe, il sedano, la paglia,
la sega circolare e il «bruscolino»
(ma la battaglia è una ed è d'ogni ora,
e la combatte il popolo che pena:
la battaglia col pranzo e con la cena,
quella battaglia che il gerarca ignora).
Nuove città saranno edificate,
tutte, s'intende, su quadrati solchi,
dove, felici, gl'itali bifolchi
troveran delle Americhe insperate.
Vedremo radunarsi il Gran Consiglio,
che già la fame ed il silenzio ha imposto
e imporrà l'entusiasmo ad ogni costo,
sopprimendo per legge lo sbadiglio.
S'aduneran sugl'ibridi bivacchi
deliquenti precoci e giovinette,
simbolico connubio che promette
futura prole di novelli Gracchi.
Ad ogni anniversario, in nuova luce,
con adunate e crapule oratorie,
saran poste via via le antiche glorie,
merito anch'esse dell'invitto duce.
E assisteremo al nobile fervore
d'un'austera adunata sul Gianicolo:
all'eroe dei due mondi c'è il pericolo
che sia data la tessera d'onore,
perché venga anche lui messo alla gogna,
fulminator di preti e di ribaldi:
forse, nel bronzo, vecchio Garibaldi,
ti vedremo arrossir dalla vergogna!...
***
15 - L'EROE DELLA MARCIA (Parigi 1934)
(In risposta a un giornale romano dell'epoca
che bandiva un concorso per un concorso
che esaltasse le imprese del fascismo.)
In fondo, non era che un basso tribuno
- le guance emaciate da un lungo digiuno -
che già sull'« A vanti! » batteva
moneta,
posando a profeta - di Marx e Sorel.
In fondo, non era che il figlio d'un fabbro,
dal fegato guasto, dal livido labbro,
che, smessa la forgia, col braccio gagliardo
linciava beffardo - la patria ed il ciel.
La guerra di Libia lo trova che svelle
binari di treni con gesto ribelle
ed agita il rosso stendardo dei vindici ...
Fin quando, nel quindici, - bandiera mutò:
un ricco milione di marca francese
l'amore di patria nel petto gli accese,
sicch'egli, a motivo del salvadanaio,
fu il guerrafondaio - che più strepitò.
A guerra finita, col solito stile
promise all'Italia la guerra civile;
e a Roma lo volle Vittorio Savoia,
pensando che un boia - giovasse ad un re;
mentr'era a Milano, già pronto a fuggire,
gli giunse inatteso l'invito del sire:
salito su un treno, gridò 1'« alea jacta»
e al posto di Facta - tranquillo sedé.
L'aurata feluca di primo ministro
si pose sul Capo con piglio sinistro,
giurando ai suoi fidi, più ignoti che illustri:
« Per dodici lustri ne avrà lo Stival »
A Roma, trionfante, da tutte le porte
la sagra irrompeva dei teschi di morte,
al motto imperiale di « chi se ne
frega? »,
che ornò la bottega - del nuovo ideal.
Col teschio sul ventre, su1 braccio, all'occhie1llo,
brandendo forchetta, cucchiaio e coltello,
uniti in un fascio la fame e il coraggio,
al grande arrembaggio - partì Rocambole.
I genii d'Italia si misero all'opra:
le scuole in subbuglio,le strade sossopra;
la turgida lira di « quota novanta»
succhiata ed infranta: - l'impero lo vuol!
Dei secoli andati la bo1sa retorica
fu posta al servizio d'un' epoca « storica»,
con tutte le glorie, nonché le leggende
mediocri o stupende - di cento città;
ed oggi per tutte le strade tranquilla:
i bimbi d'Italia si chiaman Balilla,
fra ondate incomposte di canti, di suoni,
di ferree légioni, - d'ardenti « alalà ».
Intanto, incensato, tra i fumi dell'orgia,
il fiero pagliaccio ritrova la forgia,
battendo il martello del fabbro ferraio
sul fragile acciaio - del nostro destin;
e, mentre il
martello nel vuoto rimbomba,
l'atroce tiranno prepara la tomba
a un popolo opprèsso che, simile a un gregge,
lo applaude per legge, - tranquillo e supin.
E questo sarebbe l'impero di Roma?
dell'Urbe che vince? dell'Urbe che doma?
E questo cialtrone di pessimo gusto,
l'erede d'Augusto? Vogliamo scherzar!
Di Roma, tra questa caligine opaca,
rimane soltanto la Grande Cloaca
(ed anche, può darsi, la Rupe Tarpea,
se l'ira plebea - dovesse scoppiar).
***
16 - IL SILLABARIO FASCISTA
Fin
l'innocuo sillabario
il fascismo
trasformò,
con un tono
autoritario,
truculento
anzichenò,
esaltando
con impegno
l'armi, il
fegato, il furor,
perché il
bimbo fosse degno
de1l'impero
marciator
e, compiuti
i dodici anni,
col fucile
nelle mani,
sconfiggesse
i rei Britanni,
Franchi,
Russi e Americani,
ed i Cafri,
i Samoiedi,
gli
Ottentotti ed i Niam-Niam
soggiogasse
su due piedi:
su, marciam,
marciam, marciam!
***
L'asinello pacifista
fu scalzato,
ahimé, nell'a
da un ardito avanguardista
che gridava un alalà.
Nella b, del mite bue
non l'immagine
tranquilla:
una bomba, ed anche due,
lancia
intrepido un balilla.
Nella c, dove abbaiava
un cagnuolo spelacchiato,
dominarono
la clava,
il cannone e il carro armato.
Dove il dado taverniero
Nella d vedevi in luce,
con cipiglio
ardito e fiero
troneggiò
l'invitto duce,
Dove usava
un elefante
sonnecchiar
pei fatti suoi,
ritrovavi,
ognor marciante,
un esercito d'eroi.
Ed il posto
del fanale,
o di un
umile fienile,
ben più
energico e marziale
prese un fante col fucile.
Non più un gatto il dorso inarca
o si stira
di piacere,
ma va in guerra un gran gerarca,
diventato granatiere.
Non più ahi!, non la
vigliacca
e volgare
esc1amazione,
bensì un Hitler, che, nell'acca,
fa del mondo
un sol boccone.
Non l'Italia al naturale
più nell'i vedevi in mostra,
ma l'impero più imperiale
che sia
stato all'età nostra.
Libro? Ohibò! Nel sillabario,
con terrore delle mamme,
un feroce legionario
maneggiava
un lanciafiamme.
Nè una mamma, come ieri,
sorrideva al
suo bambino:
mitra, mas
e moschettieri
violentavano
il destino.
Non il nano, non il nonno
l'enne illustri
all'uso antico,
ma una nave guasti il sonno
al
britannico nemico!
Battaglieri
ad ogni costo
sian
l'alunno e l'insegnante!
Così, l'oca cedé il posto
ad un obice tonante.
Non più papere incruente,
non più pane,
pepe, Puglia:
alla pugna, come niente,
balzò un'
epica pattuglia.
Nella q, nemmen per fallo
un bel quadro o un vil quaderno:
un quadrumviro a cavallo
somigliava a
un padreterno.
Non più il
querulo schiamazzo
d'una timida
ranella;
e, se ancor
c'era un ragazzo,
ebbe in man
la rivoltella.
Non più il sol ridente e caldo
nell'
azzurro immenso e puro:
un SS irto e spavaldo
con la spada e col siluro.
Nella t del topolino
si smarrì
perfin l'idea:
tromba al
collo, un fiero alpino
vigilava una trincea:
L'uva?
L'uovo? un vago uccello?...
Con in mano un brando enorme,
mostra l'unghie a questo e a quello
un'Italia in uniforme.
La violetta evanescente
spari
innanzi a tanta gloria:
un velivolo potente
conquistava
la vittoria.
Né si tenne
in alcun conto
più la zappa o lo zio Sam,
ma lo zaino sempre pronto:
su, marciam,
marciam, marciam!
§§§§
I TEMPI DELLA BARBA
FINTA
17 - PICCOLA ODISSEA DI UN POETA
Su un antico giornale milanese
scrivevo delle« Cronache » rimate;
e c'eran già i tedeschi nel paese,
quando, per una svista, (immaginate!)
su quel giornale, in bella luce usciva
questa strofetta candida e giuliva :
« L'otto settembre sera, all'improvviso,
ha annunziato il governo nazionale,
con un messaggio semplice e conciso,
che la guerra è perduta: era fatale.
Ma l'empia truffa e la follia littoria
son terminate: è sempre una vittoria! »
E viceversa, ahimé!, truffa e follia,
risfoderando
«l'ideale sacro »,
balzavan nuovamente sulla via,
avide di vendetta e di massacro;
sugl'inermi balzavan risoluti
i masnadieri della Squadra Muti.
Un giorno, per telefono, una voce
m'avverte che una visita è imminente.
Miei cari amici, Achille il piè-veloce
non corse mai così velocemente
com'io corsi quel giorno. E me la squaglio
con una borsa: è tutto il mio bagaglio.
Incominciò la piccola odissea:
per diciassette mesi andai randagio
con due figlioli e con la moglie ebrea,
nudi, come scampati da un naufragio,
cercando i più remoti nascondigli :
con la moglie giudaica e con due figli! ...
Trascorsi il primo inverno nella stanza
d'un suddito boemo, in Via Bocconi
(bocconi magri) e nella latitanza,
solo e recluso, per sei mesi buoni,
sprovvisto d'ogni tessera annonaria,
vissi di pane e, soprattutto, d'aria.
Ed ecco, un comitato clandestino,
un giorno, mi procura l'invocata
carta ,d'identità: fui cittadino
d'un borgo dell'Italia liberata
e, divenuto allor Negri Giordano,
m'avventurai nel centro di Milano,
con una lunga barba, alquanto grigia,
che mi scendeva quasi fino al petto
e che nei tram, in mezzo al pigia-pigia,
mi conquistava il pubblico rispetto,
tanto più che, appoggiato ad un bastone,
sembravo pronto per l'estrema unzione.
Nel luglio, mentre il «perfido invasore»
s'avvicinava, stanco e macilento
mi spaccio per un profugo: il pittore
Paolo Gagliardi, nato ad Agrigento,
scampato da Firenze con i suoi
all'empio giogo inglese. Oh, i quattro eroi! ...
L'Ente assistenza profughi ci accoglie,
ci munisce di tessere e di carte,
non sospettando le mentite spoglie
sotto cui vive quel cultor dell'arte.
- All'alloggio - gli dico - ho provveduto -
Gli soffio mille lire e lo saluto.
Un tribunale, poi, fra i più arrabbiati
m'affibbia dodici anni di prigione,
che aggiunti ad altri sedici, arretrati,
fanno ventotto in tutto: oh, che sprecone! ...
Ma l'arrivo anglo-sassone è imminente:
Rimini è presa! E scrivo al presidente:
« M'avete condannato a ventott'anni,
ma non è detto già che li farò,
perché il tempo dei duci e dei tiranni
durerà ancor due decadi, sì e no.
Ho in mente, signor mio, che prima o poi
quei ventott'anni li farete voi ».
Due decadi? Macché ! ... Se voi sapeste
l'inverno che passai nel nascondiglio
avuto poi! Due camere modeste
lungo l'Alzaia Grande del Naviglio,
senza coperte, senza vetri e luce.
Ma lo sapevo: morrà prima il duce!...
Vivevo traducendo dei romanzi
e compiangendo chi li avrebbe letti,
o sbadigliando sui mancati pranzi
e liberando i moccoli più abbietti,
o sfogliando le prime margherite:
« Alleati, venite? non venite?:. ».
E un giorno al Gruppo Stampa socialista
mi dan l'annunzio: partono i tedeschi,
giungono i nostri, Moscatelli è in vista
ed i repubblichini ora stan freschi...
Il giorno dopo, andavo per Milano,
la fascia al braccio e la pistola in mano.
E in cuore ... Oh, in cuor! Cedeva dei tiranni
la follia sanguinosa e disperata:
era l'aurora attesa da vent'anni,
era la libertà riconquistata,
era la vita stessa. Il duce è morto
(per sempre, questa volta) ; io son risorto.
***
18 - VENT'ANNI DOPO (25 luglio 1943)
Vent'anni! Ci spacciarono per gloria
e per supreme leggi della vita
la schiavitù, la pacchia e la baldoria:
la sconcia mascherata oggi è finita.
La libertà, quest'unico tesoro,
che solo a poche bestie Dio rifiuta,
come nel Medio Evo ebbe da loro
la carta gialla della prostituta.
Giorno per giorno, con la fronte china
dietro le sbarre d'una vil galera,
assistemmo in silenzio
alla rapina,
dissimulata dietro una bandiera;
assistemmo, nel tragico abominio,
stretti alla gola da un sinistro cappio,
all'opera di morte e di sterminio
che preparava il fabbro di Predappio.
L'antico impero, con cattivo gusto,
fu scimmiottato fra un clangor di trombe:
or, se Dio vuole, Cesare ed Augusto
riposeranno nelle loro tombe,
ora ch'è consumato il vilipendio
che volle il Truce dalla fosca grinta
e nel bagliore d'un immane incendio
brucian le spoglie dell'Italia vinta.
Che questa patria a noi faccia ritorno,
anche se sanguinante e mutilata!
La rifaremo; e canteremo un giorno
una grande canzone ancor non nata.
***
19 - SOGNO DI
UNA NOTTE D'ESTATE
(dopo l'8 settembre)
Mi svegliarono a un tratto, in una mite
notte di fine luglio, ebbra di stelle :
il tonfo sordo del tiranno imbelle
caduto empiva il mondo. Udite, udite!
Stretto è nei ceppi il livido pirata,
delle sventure nostre il sommo artefice,
che d'infamia marchiò come un carnefice
la nostra giovinezza disperata ...
Mi sentii come sollevato in cima
ad una nube, attonito, leggero,
gaio, felice, senza alcun pensiero,
come il ragazzo di vent'anni prima.
Uscii con altri sulla via: la folla,
l'abbietta folla che per ventun anno
aveva alzato al lugubre tiranno
urli di fede da ogni oscura zolla
di questa nostra terra, l'abbrutita
folla del « duce! duce! duce! duce! »
or, nel prodigio d'una nuova luce,
risorrideva al sole della vita.
Oh, il sole, il sole in quella mattinata
di luglio, il sole dei vent'anni, il sole
della gloria! Indicibili parole
d'una lingua dolcissima e obliata
risonavan nell'aria in nuovi evviva
di libertà, di fede, di riscossa:
era, l'aurora, una camicia rossa
che alla rinata Italia il cielo offriva.
La gente si strappava a cuor giocondo
il segno dell'infamia, del macello,
della menzogna dal consunto occhiello
e lo schiacciava come insetto immondo...
Non furono che pochi attimi, vissuti
in un sogno sereno e appassionato:
oggi, io son qui nascosto, ricercato
dai giustizieri della « Squadra
Muti ».
***
20 - L'ULTIMO ATTO
Ed anche il terzo fra cotanto senno
è sistemato: senza karakiri ...
Triboli e ambasce, moccoli e sospiri,
tutto è finito; e sia lodato il
Tenno,
Figlio del Cielo, Dio dei samurai,
onnipotente in pace, invitto in
guerra
(in questi tempi, i padreterni in terra
stanno passando l'anima dei guai! ...
).
Tutto era grande, grande a dismisura:
eran la terra e l'universo mondo
spazi vitali offerti a un furibondo
delirio di rapina e d'avventura:
Ora è finita. Mai l'umana boria,
nonché la prepotenza in uniforme
avevan visto un fiasco così enorme
in trentacinque secoli di storia ...
Una bandiera d'oro il sole inasta,
dopo il suo lungo e tenebroso
eclisse;
i cavalieri dell' Apocalisse
non corrono più il mondo: oh, basta,
basta!
Un inno di letizia e di speranza
sale dal cuore della brava gente
che sudò sangue e vede, finalmente,
la Morte sazia andarsene in vacanza,
mentre, dopo sei anni di congedo,
la colomba dell' Arca è di ritorno
e volge gli occhi sospettosa intorno,
temendo possan metterla allo spiedo.
Ma noi, dopo il passato esperimento,
speriamo che non più, come a
Versaglia,
ci si darà sui campi di battaglia
fra ventun anno un nuovo
appuntamento.
La vita è così breve, per sfortuna!
Perché ce la vogliamo amareggiare?
L'uranio, utilizziamolo per fare
un razzo che ci porti nella luna;
oppur lasciamo perdere l'uranio:
non serve a nulla! E lungo le frontiere
niente cannoni più: solo spalliere
di rose e pianticelle di geranio ...
Per gli onesti mortali affaticati
è del cielo, la Pace, il più bel
dono.
Nella mia stanza, pochi giorni or
sono,
ho riportato i mobili sfollati:
una stanzetta stile Novecento;
con un armadio, un letto,un tavolino
e la finestra aperta su un giardino:
è il mio spazio vitale e m'accontento.
***
21 - I REDUCI
Da un fosco megalomane strappati
alle lor case ed alle loro zolle,
gettati in braccio all'avventura
folle,
tornano in patria tristi ed umiliati.
Eran partiti un di', senza esultanza,
verso una guerra inutile: non c'era
in testa ai reggimenti una bandiera
luminosa di fede e di speranza.
Senza canzoni, con oscuri visi,
partirono per steppe e per deserti :
non salutati, dai balconi aperti,
da una pioggia di fiori e di sorrisi,
come, nel sogno d'una luce d'oro,
trent'anni fa, partendo verso il
Carso,
i padri ed i fratelli (e ricomparso
sembrava Garibaldi innanzi a loro).
E qui, dove la patria oggi è più
nostra,
nelle città ferite e ancor fumanti,
qui, fra le pietre degli altari
infranti,
dove il dolore innanzi a Dio si
prostra,
come bimbi smarriti, anche se adulti,
tornano alle lor madri dolorose,
con sui volti emaciati le pietose
stimmate del digiuno e degl'insulti;
tornano i vinti nella patria vinta,
dove trovano ancor l'odio in agguato
e, spesso, un egoismo sconfinato,
che non ha fatto che mutar di tinta;
trovano il fuoco spento e la
spettrale
fame che attende nelle case in lutto,
trovan campi riarsi e, soprattutto,
una spietata siccità morale:
trovano il regno delle am-lire false,
la tracotanza delle pance sazie,
di chi costrusse sulle altrui
disgrazie.
E : - il sacrificio - dicono - a che
valse? ..
Se non possiamo accoglierli in
letizia,
un buon sorriso almeno li conforti,
e un pane: sono, un poco, i nostri
morti
resuscitati. E chiedono
giustizia.
***
22 - MIMETISMO
Corsero alla
riscossa e alla vittoria,
vivificando
come per incanto,
nel cuore
della patria, dopo tanto,
la disseccata
linfa della gloria.
Oggi, però,
(son tempi scombinati)
fra tanti
puri eroi scesi dai monti,
ferve il
tripudio dei camaleonti,
la sagra
degli eroi « mimetizzati».
To' to', chi
si rivede! Il bel gaudente,
che
frequentava i balli... clandestini,
sfidando la
giustizia dei «Mutini».
Partigiano
anche lui, naturalmente...
To' to' chi
si rivede! L'attendista,
rimasto
cautamente alla finestra,
incerto
ancora fra sinistra e destra,
per metà
«demo » e
per metà fascista...
To' to', ma
che sorprese! Il malandrino
degli
angiporti della borsa nera!
Egli ha una
ricevuta e la sbandiera:
ha dato per
la causa un milioncino...
Quell'altro?
è un impostor d'antico stampo,
che applaudì
la repubblica-cuccagna:
ora scende
anche lui dalla montagna
(che vide
col binocolo da campo... ).
E' gente che di
sacro ha solo l'osso
e che di
retto ha solo l'intestino;
gente che,
ligia a un placido destino,
mangia
dovunque e beve a più non posso;
gente ch'è
sempre in sella e nulla rischia;
che all' ora
buona sa virar di prua:
oggi
proclama che la patria è sua,
ma mette il
sacco in salvo e se ne infischia;
gente che
con la fede dei cocciuti
giurava
sulle nuove armi segrete,
dicendo fino
all'ultimo: « Vedrete!
Questione
d'ore, forse ,di minuti... »,
e il giorno
dopo, come niente fosse,
urlava per
le strade di Milano,
plaudendo
con fervore partigiano
al tricolore
e alle coccarde rosse...
Ma non
perciò la vita è meno bella,
non perciò
sa d'amaro o è sconsacrata
la santa
libertà riconquistata,
che gli
oppressi d'un giorno oggi affratella.
E, per
fortuna dell'umanità,
l'armi
segrete c'erano davvero,
ma le
avevamo noi, non è un mistero,
ed eran due: giustizia ed onestà.
§§§§
CONTRO IL NUOVO
REGIME A LANIA IN RESTA
23 - REGIME
Si comincia cosi:
lo sfollagente,
la sicurezza,
l'ordine, lo Stato,
la pubblica morale;
e lentamente
nasce a regime
(oppur riprende fiato).
n clima si fa duro, intransigente;
si caccia dentro un
primo deputato;
l'applauso
obbligatorio al Presidente
dovranno poi la
Camera e il Senato.
Messo il bavaglio
al libero pensiero,
seguono con un
crescendo impressionante,
la razza, il foglio
d'ordine, l'Impero...
Fascismo? Ohibò!
Lontana, arcaica voce.
Questa è « democrazia ». sacra,
operante
All'ombra della mitria e della
croce.
***
24 -LO SCUDO CROCIATO
Al parroco Alcide,
piovuto ai
ranocchi,
l'Italia sorride
piegando i
ginocchi.
Lo prédico anch'io
mandato da Pio:
sia sempre lodato
lo scudo crociato!
Di Montecitorio
la grigia palude,
al sogno littorio
che intorno
riprude,
soltanto si degna
mutare l'insegna:
al fascio ha
applicato
lo scudo crociato.
Si beccano
un terno
gli agrari e i banchieri:
che dolce governo!
che
scacciapensieri!
Non tira a pelare,
li fa prosperare,
non turba il
mercato
lo scudo crociato.
E il pio credulone
con fede chimerica
attende le buone
lenticchie
d'America,
gridando a distesa
che, grazie alla
Chiesa,
lo scudo crociato
l'Italia ha
salvato.
Ci narra, la
Storia,
d'alcuni tiranni
che han fatto
baldoria
per oltre
vent'anni;
ma voi non sapete
che scherzi da
prete
ci fece in passato
lo scudo crociato.
Se, a furia
d'inganni,
ritorna al governo
nemmeno in
cent'anni
lo mandi
all'inferno:
mediante una legge,
le cose corregge,
ed ecco eternato
lo scudo crociato.
Promesse, lavoro,
giustizia, ma poi...
lo scudo per loro,
la croce per noi
(s'intende che alludo,
signori, a uno « scudo »
assai più pregiato
di quello
crociato).
***
25 - SEMPRE PREGHIERE
Alle classiche
preghiere
d'una volta - Avemaria,
Paternostro, Miserere,
Gloria patri e così via -
ora un'altra se n'è
aggiunta,
con il « visto
» episcopale,
molto fervida e
compunta:
la preghiera
elettorale.
Si rivolge al Sacro
Cuore
con accenti
appassionati,
perché il popolo
elettore
scelga bene i candidati
e benigno Dio
conceda,
in quest'epoca
feroce,
la vittoria a
quella scheda
che s'adorna d'una
croce.
Ne risulta che il
devoto,
se con animo deciso
darà al parroco il
suo voto,
avrà in premio il
Paradiso,
mentre l'empio
sconsigliato
deve attendersi
l'Inferno,
se per poco sia
tentato
di votar contro il
governo.
Coltivando
l'ignoranza
coltivando il
fanatismo,
c'è pur sempre la
speranza
di stroncare il
socialismo.
Ecco quindi il
prete all'opra
Con i soliti
argomenti:
un'Italia
sottosopra,
in balia dei
miscredenti,
i più lugubri presagi,
le promesse più
leggiadre,
perché vadano i suffragi
tutti quanti al
Santo Padre,
perché possa don Alcide,
con maniere
autoritarie,
rintuzzar le atroci
sfide
progressive e
proletarie,
perché almeno
quattrocento
deputati democristi
possan fare in
Parlamento
l'agognato repulisti,
e vi possano
risiedere,
senza noie, in
permanenza,
anche a costo di
concedere
ogni giorno
un'indulgenza.
Per chi mangia, per
chi specula,
che bellezza, che
allegria
restar li per omnia
saecula
saeculorum! Cosi sia.
***
26 - I REGALI DELLA BEFANA
Il pargoletto
Alcide alla Befana
chiede
trecentottanta burattini,
che bevano
tranquilli ogni panzana,
sempre pronti a far
« si »
con begl'inchini,
perch'egli possa
dir tutto contento:
Oh, questo si ch'è un
vero... , Parlamento! ».
Il frugolo
Pacciardi, un po' sbruffone,
resta ancorato ai
vecchi soldatini:
che questi sian di
latta o di
cartone,
non ha importanza
per i propri fini;
«stanco », « colonnello » ed avamposto,
vuol giocare alla
guerra ad ogni costo...
Scelbino, ch'è un
ragazzo prepotente,
dai modi un po'
mafiosi e poco urbani,
vorrebbe un
catenaccio solamente
per chiudere la
bocca agl'italiani.
Ma non lo sai che
questi, anima illusa,
san far pernacchi
pure a bocca chiusa?...
A Saragat e al piccolo Romita,
i primi
della classe clericale,
che già carezzan la
poltrona ambita
promessa lor per
merito speciale,
daremo in premio il
disco Tradimento
(senza bisogno di
nessun commento).
***
27 - SETTE ANNI DOPO
Fra pochi giorni i nostri
Partigiani
celebreranno il 25 Aprile.
Sono sette anni: ed
in un mondo ostile,
che ringhia contro
il mondo di domani
e del passato ancor
sogna il ritorno,
c'è chi ignora o
dimentica quel giorno.
Scomparsi i malandrini
della storia
ad opera di mitra o di
veleno,
nel cielo un
prodigioso arcobaleno
formava come un
grande arco di gloria,
sotto cui, cinti
dagli stessi allori,
passavano
gl'insorti e i vincitori.
E sognavano un
mondo rinnovato,
non più diviso da
barriere d'odio,
in cui la guerra
fosse un episodio
sepolto negli
archivi del passato
e sistemati ormai
per due millenni
fossero i «duci
», « fuehrer» ed i « tenni ».
E c'è nel mondo
un'infima genia
che sognerebbe
ancor (punto e daccapo!)
di ridar vita
all'Ovra e alla Ghestàpo
sotto una veste
di... democrazia
risfoderando ancor
gli stivaloni
e l'aquile dorate
sui bottoni.
Spesso, in teatro,
dopo le tragedie,
che narran gesta
splendide e sublimi,
sono di scena i
divertenti mimi,
che con farsette e
piccole commedie
tengono allegro il
pubblico ed in coro
dicon facezie. è questo il tempo loro.
Ma noi leviamo in
alto la bandiera
intorno a cui si
strinsero gl'insorti
ed onoriamo ancora
i nostri
morti,
che non salutan più
la primavera
e che dalle macerie
insanguinate
ci ripetono sempre:
« Ricordate!
»..
***
28 - L'INFERNALE COMMEDIA
« Per seguitar la
farsa tragicomica,
ora ti condurrò da
un altro grande,
ch'è il detentore
della bomba atomica ».
E mi parlò del
panico che spande
l'arma ferale, e
come al primo scoppio
il Tenno si cambiasse le
mutande.
Indi mi disse: « è
un'arma a taglio
doppio,
ch'oggi brandiamo
contro quel Giuseppe
Stalin ch'io
spregio e che al demonio accoppio.
Pape Satàn, pape
Satàn, aleppe!
Se in questo mondo
ancor io dominassi,
sarei già in marcia
verso l'ardue steppe.
Tu dêi saper che
per antica prassi
soltanto all'
Inghilterra è consentito
il monopolio dei
mercati grassi,
anche se il mondo
schiavo, ormai scaltrito,
ribellarsi ved'io di giorno in giorno
e riscattarsi dal servaggio avito ».
Io l'ascoltavo e mi
guardavo intorno,
e pensavo che il
mondo è senza senno,
e pensavo che il
monda è senza scorno.
Mentre parlava, a un'auto
egli fe' cenno,
e presto fummo in
quella Casa Bianca,
ove siede colui che
vinse il Tenno.
Truman si chiama, e
con un'aria stanca
c'indusse a prender
posto accanto a lui:
Truman a destra ed
io, modesto, a manca.
E poi ch'io vengo
su da' regni bui,
per meglio
indovinar chi quei si fosse,
gli domandai: « Chi
fur li maggior tui? ».
Egli non mi guardò,
ciglio non mosse,
ma con orgoglio mal
dissimulato
mi rispose cosi: « Li pellirosse! ».
Non è 'l mondan
rumore altro che fiato
di vento: oggi una
terra, un tempo ignota,
detta sua legge al
mondo liquidato,
mentre quel grande
dalla testa vuota
in ansia tiene i miseri
Europei,
che affondan sempre
più nella lor mota!
Ma mi distrasse da'
pensieri miei
Truman, a cui da
un'ora ero vicino
e mi chiese ad un
tratto: «E tu, chi sei? ».
Poi, nell'apprender
ch'ero un fiorentino
(un italiano!), con
pietà romantica
chiamò un usciere e
m'involtò un panino
nei pochi resti
della Carta atlantica.
***
29 - BOMBE E DEMOCRAZIA
(Lettera aperta
al Presidente degli Stati Uniti)
Illustre
Presidente, un alienista
del vostro
prosperissimo Statone
ha fatto
un'importante predizione,
che ci diverte e
insieme ci rattrista:
egli sostiene,
analizzando i frutti
di questa civiltà
folle ed isterica,
che i cittadini
della grande America
fra duecent'anni
saran pazzi tutti.
La vita che di
strepiti rimbomba,
la meccanicità
paradossale,
causerebbe un
disordine mentale
che un giorno
scoppierà come una bomba.
Le officine
frenetiche e rombanti
son manicomi
spaventosi, inferni
senza pietà:
Charlot (Tempi
moderni)
punzonava il sedere
dei passanti,
invasato dal ritmo
e dal fracasso
di quel lavoro in
serie: un mulinello...
Voi punzonate agli
uomini il cervello,
effetto del
medesimo collasso!
Fra duecent'anni...
In questa millenaria
Europa, a cui
guardate con disprezzo;
osserverete voi che
già da un pezzo
la camicia di forza
è necessaria.
Ebbene, degno in
questo di un encomio,
io non rubo il
mestiere alla Sibilla,
ma credo che col
Patto che v'assilla
andrete molto prima
al manicomio.
Esattamente, alludo
al Patto Atlantico,
col quale, nella
vostra fantasia,
voi salverete la
democrazia,
questo abusato
termine romantico.
Se la pretesa può
sembrar ridicola,
è invece grave: voi
sognate, in fondo,
di far la pelle a
questo vecchio mondo,
non di far solo più
qualche... pellicola.
Fra duecent'anni?
Ohimé, con quel binomio
«bombe e democrazia
»?... Quell'alienista
mi sembra veramente
un po' ottimista...
Amico, ci vedremo al
manicomio!
***
30 - 1917
(7 novembre 1949)
Dopo secoli d'odio,
in una sola
notte di gloria - or son
trentadue anni -
crollò
con i suoi pope e i suoi
tiranni
la Santa Russia
dello zar Nicola.
Era un putrido
mondo in isfacelo,
simile a questo in
cui gli ultimi illusi
voglion perpetuare
odi e soprusi
in nome
della patria e del vangelo;
in cui contro la
pace e il socialismo
una Santa Alleanza
ancor congiura,
asserragliata con
la sua paura
nell'ultima trincea
dell'egoismo.
Ma la smagliante
luce di un'Idea
sempre più avanza
col passar degli anni,
ed oggi accieca gli
ultimi tiranni,
che sniderà
dall'ultima trincea.
***
31 - IL NATALE DEI POVERI
Ritrovo fra vecchi
ideali
un serto di rime
perdute:
oh, l'ore felici
vissute
nei cari lontani
Natali...
è vero,a guardarsi
d'intorno,
non manca alla
festa più nulla:
diffonde,la mistica
culla,
la pace serena d'un
giorno
ritornano i vecchi
presepi,
si levan le lodi al
Signore;
la neve, d'un
bianco stupore
ricama le case e le
siepi.
Eppure, non so, ci
attanaglia
l'angoscia
d'un'ansia irrequieta;
perfino la Stella
Cometa
si sente la... coda
di paglia.
Nel mondo, in due
parti diviso
(non parlo di
Russie e d'Americhe),
il ricco le gioie
chimeriche
ritrova del suo
paradiso;
ma il povero è
triste, ma al povero
non resta che il
solito inferno:
la fame, lo
squallido inverno,
talvolta nemmeno un
ricovero...
Non fosti tu forse,
Signore,
che a due
delinquenti confuso
moristi sul
Golgota, illuso
dal sogno d'un
mondo migliore?
non tu che
accogliesti gli aneliti
di tutti
gli oppressi, o Gesù?
Ahimé, se tornassi
quaggiù,
fra il coro dei
tardi proseliti!
La croce la portano
(è d'oro)
sul petto, non già
sulle spalle;
e sdegnan le misere
stalle,
adatte per te, non
per loro:
loro hanno dimore
stupende,
con serie d'inutili
stanze,
digiunan con fini
pietanze
(che chiamano
«magre », s'intende).
La croce la portano
gli altri,
coloro per cui tu
moristi:
son sempre lì,
curvi, lì, tristi,
dinanzi ai più
forti, ai più scaltri.
Se uscissi,
Signore, per breve
momento dai dolci
presepi,
di cui
son di carta le siepi,
di gesso e bambagia
la neve?
Se entrassi negli
umidi alloggi
dov'ha la miseria
dimora?
Vedresti che il
mondo d'allora
non era diverso
dall'oggi.
E udendo i tuoi
semplici accenni
a un mondo
d'uguali, più d'uno
direbbe indignato: «è un tribuno,
iscritto al partito
dì Nenni! »,.
§§§§
INDICE
PREFAZIONE
Incontri
con gli eroi del tempo nostro
01- Il pensionato statale
02- Snob
03- Incontro con una lettrice di Liala
04- L'insegnante democristiano
05- Clark Gable
Incontri
con gli eroi del tempo antico
06- Amleto
07- Otello
08- La signora dalle camelie
09- I promessi sposi
10- Madama Butterfly
Basta coi
duci, führer e caudilli
11- Faida di partito
12- Elogio dell'ignoranza
13- Avventurosa
14- Anno decimo
15- L'eroe della «Marcia»
16- Il sillabario fascista
I tempi
della barba finta
17- Piccola odissea di un poeta
18- Vent'anni dopo
19- Sogno di una notte d'estate
20- L'ultimo atto
21- I reduci
22- Mimetismo
Contro il
nuovo regime a lancia in resta
23- Regime
24- Lo scudo crociato
25- Sempre preghiere
26- I regali della Befana
27- Sette anni dopo
28- L'Infernale Commedia
29- Bombe e democrazia
30- 1917
31- Il Natale dei poveri
fine
N.B.
Le rime
seguenti si trovano pure nel libro SATIRE POLITICHE Edizione SONZOGNO
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Basta
coi duci, führer e caudilli
11- Faida di partito
12- Elogio dell'ignoranza
13- Avventurosa
14- Anno decimo
15- L'eroe della « Marcia»
16- Il sillabario fascista
I tempi
della barba finta
17- Piccola odissea di un poeta
18- Vent'anni dopo
19- Sogno di una notte d'estate
20- L'ultimo atto
21- I reduci
22- Mimetismo
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