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Le soste del vagabondo
Alberto Cavaliere (1897-1967)


foto del poetacopertina del libro Le soste del vagabondo Alberto Cavaliere






INDICE DEL LIBRO


01-Veleno
02-Donna Lisa
03-Il manicomio
04-Dalla casa dei pazzi
05-Echi di guerra
06-Le due piaghe
07-Fede
08-Rose
09-Le vostre mani
10-Il mio peccato
11-Notturno
12-Tormento
13-Verso l'Oriente
14-Chiromanzia
15-Due rose appassite
16-Le due recite (Malinconie
di un attore drammatico)
17-Musa
18-Il castellano folle
19-Da "Rime Distillate"
20-Avversione
21-Dissociazione
22-Dal Laboratorio
23-Tribolazioni
24-La fuga
25-Alchimia
26-Oltre le nubi
27-Insofferenza
28-L'ultima meta
29-L'incubo
30-Ritorno
31-Autunno
32-Malinconia
33-Ricordo d'una sera d'estate
34-La strada maestra
35-Voce
36-L'ombra
37-Dai profondi
38-Alla sconosciuta
39-Sbadigli


§§§



L'ANTOLOGIERE


01-VELENO

Era in sostanza un alchimista e forse
aveva nel mondo una meta;
ma per disgrazia un brutto dì s'accorse
che invece era un poeta.

Forse è il contrario: era un poeta, un'aurea
sperduta figura d'artista;
ma un giorno si distrasse ed una laurea
lo proclamò alchimista.

Poetò, distillò, secondo i casi,
errando, annoiandosi assai.
Concentrò qualche volta acidi e basi,
ma il suo cervello mai.

Finché, sdegnato, ruppe le sue bocce
con tutti i suoi vani reagenti
e conservò soltanto alcune gocce
torbide, strane, ardenti,

che chiamò "versi" e versi son più o meno,
ma sanno di lacrime amare!
Le distillò lui stesso da un veleno
che non potè gittare,

che giornalmente gli corrode il cuore,
i nervi, la mente intristita,
ma ch'egli beve ancoro come un liquore
terribile: la Vita...


+++




02-DONNA LISA

Nella Rocca dei Marchesi, dove vissero i miei padri,
c'è una sala nerazzurra dove guardano dai quadri

fiancheggianti le pareti una serie d'antenati
con la toga o la corazza, fieri rigidi accilgliati.

Da che l'ira della terra questi poveri paesi
malmenava, abbandonata fu la Rocca dei Marchesi.

Ma talor - malinconia strane cose mi sussurra ­
io vo solo a meditare nella sala nerazzurra;

dove parlo in confidenza coi campioni della razza,
io campion senza valore,· senza toga nè corazza.

Una serie di Giovanni di Leopoldi di Guiscardi
han la spada stretta in pugno, fieri lampi han negli
[sguardi.

Un odore di passato dagli antichi quadri esala;
un sentore di mistero si diffonde per la sala,

dov'io parlo coi Giovanni coi Guiscardi coi Leopoldi,
io rampollo senza toga, senza spada e senza soldi.

Riconosco ad uno ad uno questi volti un po' spettrali,
poi che, bimbo, ebbi a mio retore un sapiente con gli
[ occhiali

che parlandomi d'ognuno concludeva: - E fu un
[vostro avo:
ricordatelo, signore! - Sonnolento io l'ascoltavo...

Non guardatemi sdegnosi, foschi eroi della Mucarda:
voi pugnaste con la spada, io pugnai con la bombarda;

voi feriti d'asta e lancia, io da schegge di granate
mal ridotto. Nuovi tempi: brutte cose hanno inventate!

E voi, giudici togati, che inflessibili seguite
con lo sguardo minaccioso il nepote stolto e immite,

non vogliate giudicarmi: la giustizia a nulla vale,
poi che ai ricchi ed ai potenti fa da comodo guanciale.

Sant'Alfonso de' Liguori, protettor della famiglia,
il lontano, tuo parente solo in questo ti somiglia:

che pur esso pazzamente, come già solevi tu,
con le femmine consuma la sua balda gioventù.

Tu le " Massime" scrivesti additando il bene eterno:
io fo versi per le donne, che mi additano l'inferno...

Fra cotanti arcigni- visi d' arci vescovi e d'eroi,
come candida colomba fra uno stormo d'avvoltoi,

voi soltanto mi guardate con un tenero sorriso,
carezzando con la mano un soave fiordaliso,

donna Lisa di Sant'Agata, che sposaste giovinetta
e moriste appena madre, donna Lisa al ciel diletta!

Siete bella, tanto bella, donna Lisa, mia dolce ava!
E mi dicono che stella qui la gente vi chiamava.

E mi dicon che da lungi qui veniano ad ammirare
vostre grazie e che in ginocchio vi guardavano
[passare;

e che quando voi moriste, dal dolore per un mese
non usciron più di casa le fanciulle del paese...

Voi soltanto mi guardate dolcemente, o al ciel diletta,
donna Lisa di Sant'Agata che moriste giovinetta.

Oh, mandarvi - innamorato trovatore - un bel saluto,
dolci spiriti evocando su le corde d'un leuto!

Da quel quadro antico e triste forse a me discen­
[dereste:
donna Lisa di Sant'Agata, forse voi mi bacereste...

Ma voi duci, voi prelati, in parrucca od in cimiero,
che volete? Mi guardate con cipiglio assai severo!

Forse un po' vi scandalizza e vi desta meraviglia
il rampollo scostumato che sul muso vi sbadiglia?

Non ne ho colpa. Perché mai, esecrabili Marchesi,
voi sceglieste per dimora questi lugubri paesi?

Fortunati d'oltretomba, io fo vela, o padri miei:
certamente un giorno o l'altro, se restassi, vi darei

alle fiamme, qui lasciando voi soltanto alla parete,
donna Lisa di Sant'Agata che così mi sorridete!


+++



03-MANICOMIO

Manicomio di Reggio Emilia
cucchiai di legno, patate,
urli, custodi e l'estate
afosa... Che lunga vigilia!

***



La saggezza è degli uomini ridicoli.
Amo la mia follia, la sovrumana
gioia dell'inatteso, amo i pericoli
dell'ombra, l'avventura più lontana.

La buona strada è ingombra di veicoli,
di polvere, di luce; ed un'insana
ebbrezza mi trascina per i vicoli
più foschi, più tortuosi, donde emana

un lezzo d'immondizia, ove s'aggira
la miseria e il delitto, ove un malvagio
incubo grava con attonita ira.

Ho la tempesta dentro il cor randagio:
verso un oceano livido m'attira
la voluttà suprema del naufragio.

Ricordo che scrissi così,
un giorno, quand'ero tra i folli
(reparto Casino Conolli),
sul muro, firmandomi : A. C.

***


Manicomio di San Maurizio,
cinto di mura e di sbarre.
Che tedio ! che cose bizzarre!
che malinconico ospizio!

Non saprei dire che volli,
che dissi di strano, che feci
fui il pazzo del numero dieci,
reparto Casino Conolli.

Ricordo, però, che mi parve
di giungere a un funebre lito,
traverso a un oceano infinito,
tra un popolo triste di larve,

ad una scogliera selvaggia,
in un desolato abbandono,
oggi che, libero, sono
tornato fra la gente saggia...

Ma non sono cattivi i pazzi!
Sono dei bravi ragazzi,
con tutti i loro vaniloqui;
sono degli esseri innocui,
con tutta la loro violenza.
Han lasciato dietro quel cancello
di ferro l'eterna semenza
del male : han perduto il cervello!

E vanno per un vasto giardino
con gli occhi inchiodati nel vuoto ;
van dietro un fantasma ignoto,
per sempre, senz'altro, destino.

***



Capitato nella stanza
d'un signore canadese
- non ci son forse abbastanza
manicomi al suo paese -

una stanza tutta a specchi,
ho veduto i miei vent'anni
logorati come vecchi,
sprofondati in certi panni!...

Le mie labbra eran sbiancate,
la mia barba senza cura,
le pupille dilatate
dietro un sogno di paura.

Così tetro mi son visto,
ch'ho esclamato ad alta voce
- Cavaliere, sembri Cristo
inchiodato alla sua croce ! --

***


E allor, per passar dell'estate
le lunghe e noiose giornate,
mi divisi la barba in due bande ;
in due bande divisi,
specchiandomi ai vetri, i capelli;
studiai strani sorrisi
e un giorno dissi: -Io son grande,
io sono Cristo, o fratelli ! -

Innanzi a me un crocchio
di pazzi, con le braccia alzate,
con le pupille stralunate,
si mise in ginocchio...

Un vecchio dottore
mi faceva strane domande;
gli rispondevo: - Adorami,
perché io son Cristo, io son grande!-

E il vecchio dottore fingeva
di baciarmi la mano;
ma poi, com'era lontano,
grave la testa scuoteva.
Ed io scuotevo la mia:
Povera psichiatria!...

***


C'era un avvocatino,
povero avvocatino settantenne!,
con una chioma lunga, bianca bianca,
e una barba solenne
mi faceva un inchino,
m'accarezzava con la mano stanca.

- Son qui da quarant'anni!
Quando morrò, Gesù,
rispondi, il manicomio
c'è forse anche lassù? -

- Lassù? C'è un grande palazzo d'oro
pei derelitti di questa vita:
tutto un giardino, tutto un tesoro,
ed aria libera, luce infinita... -

- E donne, Cristo, donne, ne vedi?-
- Oh, bionde, brune, tutto un fiorire...-
L'avvocatino, curvo a miei piedi,
mi supplicava : - Fammi morire!...-

***


Un, giorno era caduto,
correndo pel viale
dietro chi sa quale chimera stramba,
e s'era fatto male,
povero avvocatino, ad una gamba!
Io corsi a dargli aiuto;
lui mi rimproverò di cattiveria.
Io ricordo: che cosa desolante
quell'aspetto d'agnello agonizzante,
quell'espressione di persona seria!...

***


Quando partii nessuno se ne accorse:
un giorno i pazzi non m'han visto più.
Eppure, innanzi a se qualcuno forse
ancora cerca l'ombra di Gesù...

Ma Cristo ha abbandonato la sua croce;
la sua barbetta bionda ha eliminato;
s'è foggiato uno spirito feroce,
s'atteggia ad uomo gaio e spensierato.

Non crede a nulla; a sè neppure. Il mondo
gl'ispira più disgusto che pietà.
Va fra la gente, libero, giocondo,
e se ne infischia dell'umanità.


+++



04-DALLA CASA DEI PAZZI

Giaccion sopiti nella plumbea quiete
notturna i miei compagni di sventura
sui loro letti. Appesa alla parete,

presso ogni letto è una nomencLatura
greca di strani mali che in sostanza
suonan "pazzia" tradotti in lingua pura.

Vive con me, fra gli altri, in una stanza
un infelice: ha l'occhio acceso e fisso,
come perduto in una lontananza

misteriosa, in un eterno abisso;
senza età, senza nome; macilento,
scarnificato come un crocefisso.

E questa larva umana è il mio tormento:
ombra della mia ombra, supplichevole,
implacabile, ovunque, ogni momento

è dietro, innanzi, intorno a me! Colpevole
d'un delitto terribile, inumano,
nato dal suo delirio inconsapevole,

egli è convinto che son Cristo: e invano
gli accordo la pietà ch'egli mi chiede,
l'assolvo con la voce e con la mano!

Non se ne va, non vuol lasciarmi: crede
nella mia potestà, nel mio perdono;
stringe convulso l'ultima sua fede...

- Fratello, no, non sono Cristo! Sono
un uomo come te, sono un ragazzo
gittato come te nell'abbandono;

misero come te; dio da strapazzo,
ho maledetto il mondo e la sua gente,
reprobo come te, come te pazzo!...-

Così talvolta disperatamente
grido, stanco d'avere alle calcagna
quell'incubo spietato ed incosciente...

Discendente da nobili di Spagna,
- così racconta - in non so qual paese
ebbe un castello in cima a una montagna.

Ma una notte, una notte in cui gli tese
qualche demone folle un laccio infame,
appiccò il fuoco al suo castello: accese,

date alla furia delle fiammee lame,
crollaron le sue torri fra le grida
dei famigliari e del servitorame!

E fuggì senza meta e senza guida;
corse a gridare al monJo il suo misfatto
nella notte funesta ed omicida...

Così racconta, pallido, disfatto,
e della colpa che non ha commesso
chiede perdono singhiozzando; e a un tratto

contrae l'arida bocca in un accesso
di riso: un riso disperato e roco
che fa più male del suo pianto stesso...

So che cercò per anni ed anni il loco
dove sorgeva un giorno il suo castello
distrutto da una raffica di fuoco.

So che, randagio, in ogni paesello
dove vedeva un rudero cadente
gridava soffocato: È quello! È quello!...

E corse, corse come un penitente,
lacero e smunto fra le genti umane,
dietro il suo sogno tragico e demente.

Nella notte attendeva la dimane,
stanco, gittato nelle strade oscure,
chiedendo un po' d'asilo e un po' di pane.

Conobbe forse tutte le sciagure,
l'onte, le beffe! Andava sempre:il dorso
nudo segnato dalle lividure

e dentro al cuore il tarlo d'un rimorso
immaginario... Un giorno un monsignore
gli procurò ricovero e soccorso

nella casa dei pazzi e del dolore,
dov'oggi vive il nobile di Spagna,
con negli occhi implacabili il bagliore

di quell'incendio in cima a una montagna...


+++



05-ECHI DI GUERRA

I

Il sole sulle cupole di gelo
ha l'apparenza d'un fantasma giallo.
Nitido, freddo, desolato, il cielo
sembra un'enorme tomba di cristallo.

E passa ebbra di strage e di sfacelo,
alta sull' invisibile cavallo,
passa la Morte, spoglia d'ogni velo
di gloria... Qualche scheggia di metallo,

venendo chi sa donde, Senza meta,
un giorno o l'altro, livida, insolente,
_ penetrerà nel cranio d'un poeta!

Ma il poeta sorride e non gl'importa:
pensa che nel cervello finalmente
gli entrerà qualche cosa, E si conforta.

II

Son rannicchiato in fondo a una caverna
umida e fredda, come un primitivo.
Ho fame, ho sete, e per distrarmi scrivo
al tremulo chiaror d'una lucerna.

Non giunge l'eco d'una voce esterna
che disperda quest'incubo cattivo;
ed io non so se sono un uomo, un vivo,
o se un dannato della notte eterna.

E sento il mio pensiero che dilegua,
sento la vita verso ignote rive
migrar lasciando questa morta gara.

solo il mio cuore batte senza tregua,
e batte per convincersi che vive,
che non è morto intieramente ancora.

III

È meglio, è meglio assai quando la terra
sembra un mare fantastico di luce,
di fiamme, di faville, quando truce
ogni cannone la sua furia sferra,

che questa calma spaventosa!... Oh, afferra,
se pure a maledirla oggi t'induce,
se pure noia e spasimo t'adduce,
la vita, o cuore! Finirà la guerra:

gli uomini torneranno alle lor case
con nuova lena a ricantar l'amore
senza un pensiero per chi qui rimase.

E il sole è così bello nel fulgore
dei suoi tramonti alle anime pervase
di sogno! Ah, batti e non distrarti, o cuore!

IV

Ero venuto, quasi adolescente,
ebbro di gioia, in quest'immensa arena
di gloria, come dietro un irrompente
peana, dietro un canto di Sirena.

Pensavo alle battaglie aspre e cruente;
sentivo l'eroismo in, ogni vena;
amai perfino in un sepolcro ardente
sognar la morte come una falena...

E sono qui sommerso in un pantano!
Si logorò la fede in queste bolge
santificate da un martirio vano.

La guerra si dibatte fra gli ostacoli
e le trincee, dove la noia avvolge
l'anima coi suoi viscidi tentacoli.

V

[A Madonna Laura]

Madonna Laura, è i] sole che infocato
tra i vapori del vespero si culla?
È la lettera vostra? è il vin moscato?
lo non so nel pensier cosa mi frulla,

ciò che nel COr mi s'agita... Peccato
che i versi miei non sappiano dir nulla!
So che mi sento tenero, pacato,
sentimentale come una fanciulla.

Improvviso all'amor l'incubo cede:
l'anima calma fin dai suoi più occulti
lembi. sorride alla rinata fede.

Tutto mi sembra nuovo; anche la Morte
ha come un dolce e strano aspetto: è l'ultima
innamorata che mi fa la corte...

VI

Ah, non la pace della Val di Chiusa
qui, che allo spirto del poeta porga
placido asilo, in cui l'anima illusa
dell'umano dolor più non s'accorga!

Qui con il dolce oblio caro alla Musa;
non la divina poesia che sgorga
d'alma fragranza e d'armonie perfusa :
dalle chiare fresche acque della Sorga;

non l'amica sognata!... La trincea
qui, col suo fango e l'improvviso grido
d'allarme ed il pericolo: e l'idea

fugge come una rondine sbandata
e spesso, spesso non ritorna al nido,
al vicino scoppiar d'una granata...

VII

[Dall' ospedale]

Non erano granate; erano tende
di fiamma che salivan dall'abisso,
oltre cui Furie scapigliate e orrende
ci fascinavan con lo sguardo fisso,

spietato, fra implacabili vicende
d'ira e di morte... Resta oggi un prolisso
giuoco di rime, un biancheggiar di bende,
una suora che prega un Crocefisso!...

E quante madri, quante madri, ancora
hanno pregato innanzi ad un'immagine
nelle lor notti che non han più aurora!

Ma lui, povero Dio, che colpa ci ha?
È la Storia che scrive le sue pagine
col vivo sangue dell'umanita...


+++



06-LE DUE PIAGHE

[A Madonna Laura]

Un bacio:la mia fantasia
correva ad un bacio in quel molle
languore... Ella accendere volle
la sua sigaretta alla mia.

E come ad un bacio mi porse
le labbra: all'alito lene
della sua bocca, le vene
un brivido arcano mi corse.

Mi piacque ripetere il giuoco:
quello era il bacio concesso!
Ma il bacio fu bello lo stesso
traverso ad un ponte di fuoco...

Dopo, con ogni artifizio
la mano mi volle bruciare;
io docile, senza tremare,
la offersi al gradito supplizio.

Ed ella si divertiva
a farmi soffrire (la donna
fu sempre crudele): Madonna
cattiva, cattiva, cattiva!...

Ed ora mi guardo la piaga
rossa, la dolce ferita
che con le candide dita
mi fece la piccola maga.

Ma l'altra piaga è più viva;
nascosta, ma fa più dolore:
e me la fece nel cuore,
Madonna cattiva, cattiva!...


+++



07-FEDE

[A Fanny]

"Non v'amo" tu mi scrivi; e ai miei richiami
tendi l'anima tua. " Non v'amo" e intanto
so che mi pensi ed ami
la mia triste passione ed il mio canto.
E il tuo cuore di rondine, volando
pei tuoi cieli sereni,
s'impiglia a quando a quando
nella rete leggiera
dei miei vani poemi...
Hai visto mai le nubi in primavera
incatenar la luna fuggitiva?
Ma dopo il vento arriva
e libera la bella prigioniera;
si rifugian le nubi negli estremi
lembi del cielo, o lasciano soltanto
un piccolo vapore
che qualche volta si dissolve in pianto.
Così tu giuochi col mio folle amore...

" Non sperate" tu scrivi e invece io spero,
e t'attendo con l'anima devota,
pazientemente; e forse tu verrai,
attratta dal mistero
d'una favola ignota
che ti lusinga mentre tu non sai...
Vi son certi vulcani
- non so più dove, in California, a Giava ... ­
che dai crateri ardenti
lancian talvolta, in mezzo
all'infocata lava,
dei blocchi d'oro grezzo.
E basta esser pazienti
- dicono almeno i cercatori d'oro ­
basta star fermi lì mattina e sera,
per anni forse, e attendere il tesoro,
per esser ricchi poi la vita intera...

Ed io fo come loro,
quei cercatori d'oro
che attendon la fortuna che verrà:
paziente, a capo chino,
attendo che il destino
mi getti un pezzo di felicità.


+++



08-ROSE

Freschissime rose che al sole
sbocciaste col maggio novello,
portate all'amore mio bello.
le più segrete parole.

V'attende - È una dolce fanciulla,
ma soffrir molto m' ha fatto:
il cuor del poeta è un giocattolo :
strano, con cui si trastulla.

Le leggo le mie poesie:
m'ascolta così, rassegnata!
- Io t'amo... - Ella ride spietata:
- Che belle, che belle bugie! -

Al piccolo scettico cuore
voi conciliate la fede,
poi ch'ella al poeta non crede
ed egli si strugge d'amore.

A lei sol per questo v'invio,
freschissime rose di maggio.
Parlatele: il vostro linguaggio
è tanto più bello del mio!

L'avvolga la vostra fragranza,
come il mio ardente pensiero;
le dica: - Egli t'ama davvero;
t'ama, ma senza speranza. -

E allora, se come alle mie
parole, la piccola fata
dovesse, ridendo spietata,
rispondere ancora: - Bugie... -

oh! allora sappiatele dire:
- Cattiva! Noi siamo le belle,
le dolci tue buone sorelle:
non ti possiamo mentire... -


+++



09-LE VOSTRE MANI

Se le mie mani vincon la vergogna
(poiché son così rudi e mal curate!)
e sfiorano le vostre delicate,
le vostre quasi eteree, non agogna

un maggior bene l'anima che sogna
a quel candor di rose vellutate:
e mi par di morire! Quali fate
vi forniscon gli unguenti alla bisogna?

Sembrano mosse da un respiro lene,
da un prodigioso spirito; dipinto
sembra l'intrico delle tenui vene.

Temo quasi d'infrangerle se vinto
d'amor le stringo... E son le mie catene:
son le catene a cui rimango avvinto!


+++



10-IL MIO PECCATO

Vi scrivo dalla cella d'un convento
su una montagna solitaria, spinto
quassù da un desiderio o da un istinto
ignoto, da un sentore di sgomento.

Spesso, spesso nell'ore desolate
della vita sognai, nel mio segreto,
sognai quest'ozio incontristato e quieto:
e forse finirò col farmi frate!

Mi piace assai questa malinconia
di cose morte, di memorie meste,
quest'abbandono... Amica, se sapeste
quello che passa nella vita mia!

Ma via, tristezze!... Un monaco, don Pietro,
stava all'entrata. Quando gli ho parlato,

lui m'ha riconosciuto: sono stato
qui (c'è un collegio) un undici anni addietro.
"Ma come s'è cambiato! Era un monello...
Ma non è lei che fu mandato via
perché scrisse non so che poesia
contro il rettore?" "Sono proprio quello!"

E mi conduce dentro, ove dagli anni
d'allora nulla a me sembra mutato.
"Vede? C'é qualche muro sgretolato:
il terremoto ha fatto molti danni,

ma Dio ci assiste e tutto si restaura...
E lei fa sempre poesie?" "No; scrivo
ogni tanto, però, qualche cattivo
verso in onore di Madonna Laura. "

"Madonna Laura?..." E il vecchio frate inarca
le sopracciglia. "Ecco, non san di niente
tutte le donne d'oggi, onde idealmente
pensai di rubar Laura al buon Petrarca..."

Poi parlo del passato (egli a che pensa,
grave, ascoltando con le braccia in croce?):
"Oh, in quanto a fame e a sogni ero un precoce
Nessuno per rubar nella dispensa

possedeva di me arti più scaltre.
E sognavo la gloria fin da allora!
La gloria: mi sembrava una signora
che si conquista come tutte l'altre..."

"E non ci pensa più? " " Forse ci penso,
ma penso pure a tante cose strane!
A quante deità subdole e vane,
lei sapesse, sacrifico il mio incenso! "

"Lo so, figliuolo, lo capisco anch'io;
la giovinezza è una gran brutta prova,
è una fiera battaglia, e quel che giova
è tener ferma la fiducia in Dio...

Lei... si confessa prima di partire? "
egli mi chiede timido, all'orecchio.
Ho veduto (non sa, povero vecchio!)
la face d'ogni fede impallidire.

"Ma sì! " rispondo " Ci pensavo già!
Certo! Con tutta l'anima! " "Non c'era
da dubitarne... Allora questa sera
lei venga in chiesa: mi ci troverà."

" Meglio domani! Mi farò l'esame
di coscienza stasera... " E mi saluta...
Madonna Laura, fuggo all'insaputa
stasera stessa. Si, sarò un infame,

ma che volete mai? Fu disgraziato.
l'esame di coscienza: scruto il cuore,
m'interrogo, ma trovo che l'amore,
solamente l'amore è il mio peccato!


+++



11-NOTTURNO

Sotto il magico stupore d'una cupola d'argento
stanno i pallidi uliveti nella notte senza vento,

COme torme di fantasmi in un gran mistero assorti.
Giace in fondo la mia casa dove vissero i miei morti.

La blandizie della luna culla i sogni delle cose,
addormite fra la coltre del profumo delle rose...

Ella è lungi, è così lungi! Per venir, io l'ho lasciata,
nella casa ove mi vuole la mia mamma desolata.

Ella è lungi, è così lungi, quasi fuori della vita!
E mi penetra nell'anima un'angoscia indefinita.

Ma le rose, ma le stelle (rose bianche, stelle d'oro...)
Ella t'ama, t'ama, t'ama - mi sussurrano in un coro.

E la vedo a me d'accanto voluttuosa, dolce: sento
Il mio cuore che divampa nella notte senza vento.

M'ama! M'ama l. E mi sommergo nel silenzio delle cose;
nella coltre della notte, nel profumo delle rose

mi sommergo follemente come dentro alle sue chiome.
La natura palpitante mi ripete un solo 'nome:
Laura Laura Laura...


+++



12-TORMENTO

Tutta la notte ramingai, sconvolto,
come sospinto da una rea possanza,
con l'immagine viva del tuo volto
acceso nelle spire della danza,

fra le altrui braccia. Non m'hai dato ascolto
tutta la sera, è vero? Eri abbastanza
felice!... Amica mia, sono sepolto
nel mio tormento che non ha speranza.

Meglio fuggire via! Voglio i miei boschi,
voglio l'aroma del selvaggio mare,
chè mi guariscan dai pensieri foschi.

Meglio scampar da questa insania ardente!
Io non volevo, io non volevo amare,
Amica; e t'amo disperatamente!


+++



13-VERSO L'ORIENTE

Sarebbe così dolce addormentare
lo spirito malato fra le note
di questi parchi e del selvaggio mare
che le scogliere attonite percuote!

Perché, perché questa follia: d'andare,
di correre, di correre e le vuote
profondità dell'anima colmare
d'ignote ebbrezze nelle terre ignote?...

Dal mare mi rispondon le Sirene:
- Bimbo che del tuo male ti consumi,
infrangeremo noi le tue catene.

Qui l'erba c'è che d'ogni mal risana;
altre musiche sono, altri profumi
nella terra del sogno e del nirvana...


+++



14-CHIROMANZIA

Un giorno - che malinconia!
ricordo che in un ospedale
una damina la quale
sapeva di chiromanzia,

tra l'altro, toccandomi il pomo
d'Adamo mi disse con gesto
solenne: - Tenente, voi presto
diventerete un grand'uomo. -

Io la guardai costernato;
ed ella imperterrita, piano,
attenta mi lesse la mano:
- E vedo una donna che il fato

conduce sul vostro cammino...
- Signora, una sola? - le chiedo -
- Oh, non scherzate! La vedo
sul libro del vostro destino. -

- È almeno carina? - Anche bella -
- Oh, n'ero di già persuaso!-
- Voi l'amerete: e per caso
v'incontrerete con quella.

Forse anche lei v'amerà -
diceva la mia chiromante -
ma siete così stravagante
che, credo, v'abbandonerà! -

E in: una triste giornata
d'aprile (pioveva; ero pieno
di tedio) non vidi in un treno
l'Incognita profetizzata?...

Io la guardavo; però,
non come si guardano tutte
le donne che non sono brutte:
io la guardavo, non so...

Il treno nel fosco grigiore
del giorno correva veloce.
Ed una dolcissima voce
mi chiese se fossi un pittore

(avevo la barba e i capelli
divisi alla Cristo: perciò!...)
- No, signorina; non so
nemmeno che siano i pennelli... -

M'intesi un tantino ridicolo;
le dissi: - Sono uno studente
che veste da sotto tenente
perché la patria è in pericolo... -

Fu questa la breve, apertura
del nostro discorso, che' poi
parlammo di guerra, d'eroi,
d'artisti, di letteratura...

Le recitai il canto del Locchi
" La Sagra di Santa Gorizia ",
e la mia nuova amicizia
guardavo ogni tanto negli occhi .

Quegli occhi!... Ricordo: l'aspetto,
la voce, la mano di neve...
Finito il viaggio, assai breve,
io le promisi un sonetto.

Fu allora che ascesi il Parnaso
con enfasi: e a lungo sognai...
Ed ecco che m'innamorai
così, per un semplice caso.

Fu un anno di dolci chimere,
un anno di "t'amo! t' agogno!"
in versi... Oggi ha fine il mio sogno
nutrito di due primavere.

E forse non sembra, ma sono
triste. La mia chiromante
aveva ragione: al fiammante
amore seguì l'abbandono...

Ed ora, toccandomi il pomo
d'Adamo, sospiro e rifletto:
e malinconico... aspetto
di diventare un grand'uomo!


+++



15-DUE ROSE APPASSITE

Sotto l'azzurro cristallo
due rose appassite sbadigliano:
due povere rose! Somigliano,
sul nitido vetro, due stille
di freddo vapore a due lacrime
sgorgate da ignote pupille.

Di tanta superba bellezza
sbocciata dall'umida terra
solo, ora, una muta tristezza
l'azzurro cristallo rinserra:

un senso di gioie svanite...
Rimangono, ora, soltanto
due povere rose appassite,
due tremule gocce di pianto...

Due rose: la prima era candida
candida, una tentazione
timida, un'aspirazione
suprema, era un'estasi languida;

e l'altra vermiglia, un'accesa
passione: era in essa il bisogno
di un'anima ardente, protesa
verso un fantastico sogno.

L'una impalpabile, mesta,
un fiore di giglio innocente;
l'altra era un grido, una festa,
sfrontata, ubriaca, insolente...

Eran due strane e divine
bellezze; ma l'ora fuggente
chiamava per esse la fine,
la morte, inesorabilmente!

E venne la morte: appassirono
entrambe, così, quella viva
passione e quell'estasi bianca.
Forse con esse moriva
l'amore in un'anima stanca!...


+++



16-LE DUE RECITE
(Malinconie di un attore drammatico)

Son due recite sempre. Una ha le prove,
il variare delle scene finte,
meccaniche, l'attesa fra le quinte,
un continuo migrar per ogni dove...

L'altra, quell'altra, è la commedia umana
che recito ogni dì: sempre la stessa;
e ricomincia quando l'una cessa:
commedia triste, lacrimosa e vana!

L'una innanzi a una folla ripulita
che cerca un'ora di sereno oblio;
l'altra nel mondo, in mezzo al tramestio,
al viavai pazzesco della vita,

e innanzi a tutti, negli alberghi, fuori,
via tra l'indifferenza dei passanti,
la superbia dei ricchi, i negozianti,
i pezzenti, gli amici, i creditori...

Nell'una la parrucca ed il pennello,
il carminio pel trucco; ma nell'altra
occorre un'arte fine fine e scaltra:
devi truccarti l'anima e il cervello!

Nell'una, se tu piangi, e menzognero
il pianto, un'illusione è il tuo dolore
che non fa male; ma nell'altra il cuore
sanguina sempre, ed il dolore è vero!

Nell'una sai che cosa c'è domani,
sai quale dramma, sai quale tragedia;
nell'altra no. Finita la commedia,
nell'una senti i fischi, i battimani,

senti qualcosa; sai che una fanciulla
forse ti sogna... Ma quand'è finita
quell'altra, la commedia della vita,
oh Dio, non senti nulla, nulla, nulla!...


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17-MUSA

O mia povera Musa,
venivi all'improvviso
col tuo dolce sorriso
di giovinetta illusa;

baciavi sulla gota
il pellegrino stanco,
gli camminavi a fianco
lungo la strada ignota.

Stavi col suo dolore
come una pia sorella,
quando nella sua cella
il livido chiarore

d'un'alba fredda e infausta
lo trovava spettrale,
curvo sul capezzale
della sua fede esausta,

solo col suo tormento...
Poi t'obliò, supino
sul soffice cuscino
del suo rammollimento...

Oggi ha nel cuore insonne
non so qual tedio amaro;
e tutto odia, il danaro,
la poesia, le donne.

Il tempo gli solfeggia
una spietata fuga;
già qualche lieve ruga
pel volto gli serpeggia;

l'onta della calvizie
la sua chioma minaccia...
Ah, corse di te in traccia,
chiese di te notizie

per ritrovar sè stesso
trovando te! Lontano
ti ricercò, ma invano,
invano, invano... Adesso

lui fra la gente seria
vivacchia alla giornata;
in cenci, abbandonata,
spinta dalla miseria

obliqua, che disanima
le derelitte fedi,
tu batti i marciapiedi
nei vicoli dell' anima!


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18-IL CASTELLANO FOLLE

Il mio cuore è l'ozioso castellano
d'un maniero lontano,
librato fra le nuvole turchine.
Nella bella dimora solitaria,
fatta di luce e d'aria,
nella celeste mole,
tutta iridata dalle nubi alterne,
son sinfonie divine
di primavere eterne,
musiche di silenzio ebbre di sole.

E il mondo... Com'è vano,
com'è piccino il mondo
veduto da lontano!
Non altro che un giocattolo rotondo
che gira gira come un arcolaio
e che un bel giorno si frantumerà
sotto la mano del burattinaio,
lo Sconosciuto dell'umanità.

Il castellano ozioso e trasognato
vive nella sua reggia
tranquillo, spadroneggia spensierato;
e ai suoi banchetti - ahimè, troppo ideali! -
ogni giorno convita
in grande intimità
le figure retoriche
delle cose immortali
che allietano la vita:
l'Amor, la Gloria, la Felicità...

Ma spesso nella notte esce il Cervello,
feroce menestrello
tutto vestito a nero,
che va dove gli frulla,
strano disoccupato trovatore
che corre sempre e che non trova nulla.
E sempre la medesima canzone
canta sotto un balcone
dell'aereo maniero:

O inutile signore,
che, in così alto sito
non temi il raffreddore
nè senti l'appetito;

che, solitario e imbelle
strimpelli serenate
e pensi che le stelle
ti siano molto grate,

è un'illusione stolta,
è un'ubriacatura:
il cielo non t'ascolta
e il mondo non ti cura.

Scendiamo! Che tracollo
se si solleva il vento!
Ci romperemo il collo,
signore sonnolento!

Così canta il feroce menestrello
Che va dove gli frulla,
il nero trovatore
che corre sempre e che non trova nulla.
E il povero signore,
malgrado l'abitudine, s'adombra:
dapprima il dubbio, come un pipistrello,
creatura malefica dell'ombra,
intorno gli svolazza;
e a poco a poco una rincorsa pazza
di larve disperate
mette sossopra il magico castello.
Vacillano le mura:
crollano nell'abisso frantumate.

Nè si può dir se tremi di paura
o se di freddo tremi
il disgraziato eroe dei miei poemi
incatenato dalla notte oscura.

Ma come nasce il giorno e il sole irradia
la sua luce immortale,
le fosche larve sfumano
dalla celeste Arcadia
dove il mio cuore vive d'ideale.
Tutto è tranquillo fra le azzurre sfere;
le nubi sono un regno di bambagia...
E fra le coltri delle sue chimere
il castellana folle si riadagia.


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19-DA "RIME DISTILLATE

ZOLFO

Corpo notissimo
fin dal passato
più immemorabile,
fu annoverato

fra i corpi semplici
quest'elemento
solo nel volgere
del settecento.

È abbondantissimo:
nel Bel Paese,
anzi, n'esistono
miniere estese.

Nella Germania
e in altri siti
esso ricavasi
dalle piriti.

Nella Sicilia,
dove allo stato
libero trovasi
cristallizzato,

s'ottien col metodo
del calcarone
(in modo analogo
che pel carbone)

in cui s'adopera
lungo il processo
per combustibile
lo zolfo stesso.

dei vecchi metodi
forse è il men peggio.
Così ricavasi
lo zolfo greggio.

Se poi, bruciandolo,
entro le mura
d'una gran camera
di muratura

si fanno giungere
i suoi vapori,
vi si deposita
lo zolfo in fiori,

il quale in seguito
si liquefà
e in forme coniche
di legno va,

formando il solido
zolfo in cannelli,
ossia in lunghissimi
aghi, assai belli.

Sostanza insipida,
giallo-citrina,
molto solubile
nella benzina,

a cento e undici
gradi esso fonde
formando un liquido
giallo; d'altronde,

se ancor riscaldasi,
diventa denso,
vischioso, tingesi
d'un bruno intenso,

sì che ai centigradi
duecentoventi,
capovolgendone
i recipienti

che lo contengono,
non lo si versa;
ed innalzandolo
poi, viceversa,

a ancor più energica
temperatura
ridivien fluido,
ma più s'oscura,

finché, sul volgere
dei quattrocento,
il nostro siculo
strano elemento

dei densi nugoli
ranciati estolle;
le metamorfosi
cessano: ei bolle.

Numerosissime
le applicazioni:
serve a molteplici
fabbricazioni.

Ci dà i fiammiferi:
s'intende, quelli
che il nome traggono
di zolfanelli.

La scienza medica
lo sfrutta pure,
utilizzandolo
per molte cure:

chi non l'adopera,
chi non l'agogna,
quando implacabile
prude la rogna?
--
*(Vedansi "Chimica in versi")



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20-AVVERSIONE

Sono, è vero, un alchimista,
ma assai poco me ne importa:
ho lasciato acidi e basi
nel lambicco e nella storta.

Storta ho l'anima che irride
e lambicco m'è il cervello;
mi son acidi i pensieri
che distillano da quello.

Basi: si, mi ci vorrebbe
una base finanziaria,
ed allor non curerei
se un miscuglio o meno è l'aria;

una base com'io dico
e sarei così beato,
così in alto da infischiarmi
d'ogni vil precipitato!...

Ah, conosco gli elementi
quasi tutti a perfezione!
Solo l'oro mi conserva
l'implacabile avversione!


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21-DISSOCIAZIONE

È un principio profondo ed indiscusso:
con ciclo assiduo vanno ai due diversi
poli, se la corrente li attraversi,
gli atomi scissi dal tremendo flusso...

E innanzi all'occhio mio stanco, ammalato
di ricerca, di sogno e di follia,
io vedo la superba teoria
ingigantirsi: vedo atomi ed atomi

enormi, erranti in infinita ruota:
gli astri, la terra, gli uomini, le cose:
spropositati " ioni " in faticose
ridde, sospinti da una forza ignota

perpetuamente verso ignoti poli.
Quale alchimista eterno ed instancabile,
intento a un'esperienza irreparabile,
regola i suoi fantastici crogiuoli?

Non so, non so: non ne capisco niente!
Fin nel mio cranio il mio cervello è scisso
dalla corrente d'un pensiero fisso
che passa, passa infaticabilmente,

se vegeto, se medito, se scrivo,
se parlo... Ed il principio è sempre quello.
La differenza è questa: il mio cervello
possiede solo il polo negativo!


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22-DAL LABORATORIO

Napoli estiva, o bella, o mio sospiro
dei dì perduti, tutto il mio tesoro
ho dissipato, tutto! E più non miro
nudità bianche nel tuo seno d'oro.

I tuoi profumi ed i tuoi fumi? Aspiro
le nuvole malefiche del cloro!
Le tue Sirene? M'hanno preso in giro!
E solo la sirena del lavoro

oggi mi chiama, stridula, insolente,
sempre a quell'ora, in quell'istesso posto...
Ah!, piegai la cervice alla fatica,

e di te mi rimane un opprimente
senso di lezzo e l'afa dell'agosto:
oh lascia, lascia che ti maledica!


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23-TRIBOLAZIONI

(All'Ing. U.P.)

Caro ingegnere, adoro
la verità. Ricordo
che lei del mio lavoro
s'ebbe a lagnar: d'accordo.

Ora, ingegnere, voglio,
in tono un po' giulivo,
spiegarle in quale imbroglio
io vivo, anzi non vivo.

Non chiedo nulla al prossimo:
l'orgoglio ereditato
come un fatale microbo
nel cuor mi s'è annidato.

Non chiedo nulla al prossimo;
però le debbo dire
che tento invan di vivere
con le trecento lire.

Non parlo del decoro
professionale, via!
La legge del lavoro
è dunque un' utopia?

Un giorno qui un figliuolo
mi disse con mio scorno
che guadagnava solo
trentadue lire al giorno:

e non sgobbò sull'Hollemann,
nè sa di Lavoisier;
e certo d'elettròlisi
ne sa meno di me.

- Ma di', fammi il favore,
ragazzo mio - gli feci ­
lo sai che san dottore
e ne guadagno dieci?-

- Ma che! Non è possibile;
non credo; è una bugia... ­
E questo fatto è autentico,
lo dico in fede mia!

Per cui, le par possibile,
le torno ancora a dire,
ch' oggi si possa vivere
con le trecento lire?...

Rapporti in fretta e furia
redatti a cuor leggiero,
scritti con tanta incuria
che l'otto sembra zero?...

Lavoro male? Spendo
poca energia? Sudato
non m ha mai visto? Rendo
per quel che son pagato...

E poi, c'è la malora
sempre alle mie calcagna;
ascolti, ascolti ancora
lei che di me si lagna!

Un dì la soda caustica
avventa il suo furore
sull'unico soprabito
d'un povero dottore.

Ed eran mille lire:
m'oda, ingegnere, m'oda!
Con esse andò a reagire
la sciagurata soda!

Ora, lo so benissimo
- e sono costernato -
lo so che il mio soprabito
non era assicurato...

Per cui - l'anima afflitta,
più afflitto il portafoglio ­
relegherò in soffitta
l'ereditato orgoglio!

A lei la soda caustica
del beneficio arreca;
ma creda ch'è un'orribile
bestia, maligna e cieca!

E vengo a sottometterle
la semplice questione:
I danni d'una bestia
li paga o no il padrone?

D'accordo - Onde, consideri
con equità, se crede,
la dolorosa perdita,
e con la mia mercede

facendone il confronto,
con animo gentile,
ne tenga almeno conto
pagandomi il mensile l

In queste condizioni,
con tali e tante pene,
con queste privazioni
si può lavorar bene?

pensare a far lo zero
che non somigli a un otto?...
Son sempre col pensiero
all'estrazion del lotto!

Dunque, o mi paga e resto,
oppure me ne andrò
con il ricordo mesto
del povero paltò.

Se vuol di me far senza,
lei mi farà il favore
di dirmelo: pazienza!
Il minimo rancore

non serberò, per niente ;
e resterò, ingegnere,
il suo devotamente
Alberto Cavaliere.


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24-LA FUGA

Trascorsi un mese .intiero in un laboratorio:
mi resta come il lugubre ricordo d'un mortorio.

In mezzo ad uno stuolo di macabri alchimisti
i giorni erano lenti e orribilmente tristi.

Con le provette in mano, distratto, mogio mogio,
annichilito, a ogni attimo guardavo l'orologio.

Ed i minuti scendere vedevo a goccia a goccia,
come da un alambico, sicché se in una boccia

raccogliere li avessi potuto - che trovata! ­
avrei certo ottenuto la noia distillata.

C'era una serva ed era pure un'orrenda cosa;
ma disperato un giorno le sussurrai: - Graziosa! -

S'inviperì: - Si faccia gli affari suoi, dottore! ­
Oh, certamente il cloro le aveva roso il cuore!

Fuggii dal triste loco gridando: - libertà!... ­
mentre bolliva un acido che ancora bollirà...

Il cloro, il bromo, il sodio, l'idrogeno, il selenio
e tutte queste cose ripugnano al mio genio.

Purtuttavia, trovandomi in mezzo agli elementi,
io m'ingegnai di trarne dei saggi insegnamenti.

- Guarda: questi elementi mutano sempre forme.
Fa come la materia che mai, giammai s'addorme! -

Cercar di non dormire? È cosa poco seria.
E poi, sono idealista e aborro la materia.

Però sul mio carattere la prova cominciai:
ho visto che il carattere non si trasforma mai.

- Tu che non pensi a nulla, nè all'ideal nè al vero,
(concentri tanti corpi!) concentra il tuo pensiero. -

Per concentrare un acido bisogna riscaldare,
mentre un cervello caldo non si può concentrare!

- Osserva come un corpo si mette in libertà... ­
E allor fuggii... Quell'acido ancora bollirà!


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25-ALCHIMIA

A che tentai la chimica snervante,
le formule accordando sulla cetra?
Speravo forse di trovar la pietra
filosofale? di scoprir diamante?

Diarnante mi son gli occhi delle belle
innamorate: inutile tesoro
che mi sorride e non mi tenta! E l'oro...
Conosco solo l'oro delle stelle,

che troppo è lungi per i miei bisogni!
E l'anima soltanto se ne sazia,
se in cerca di fantasimi si spazia
pei cieli nelle notti dei miei sogni...

Quanti veleni studiaì profonda-
mente! E un veleno non ho mai trovato
che uccida il dubbio, o un solo preparato
che ossigeni la fede morìbonda!...

Chimica astrusa, dunque a che mi servi?
Glielo dicevo: Babbo, ve lo giuro,
perdo quattr'anni - ...Almeno il tuo bromuro
fosse capace di calmarmi i nervi!...

Oh via, provette ed acidi! Via, via,
arida scienza! E lasciami soltanto
un bel crogiuolo ch'io vi fonda in canto
il piombo della mia malinconia...


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26-OLTRE LE NUBI

Mi libro nell'alto, m'affondo
di nubi in un magico velo...
Un'aquila? No!
Sono un esule del mondo
ramingo pei regni del cielo...

È ho bevuto del cielo, sognando,
gli aromi che sanno d'oblio.
Cercatore d'ebbrezze, ho fiutato
la cocaina di Dio.
E il mio cervello è impregnato
così del veleno fatale,
che io non distinguo del mondo
più nulla: né il bene né il male.
La vita laggiù in uno sfondo
di nuvole appare dispare
riappare... E non comprendo
che sia, se una labile
chimera, un divino bisogno
d'amore di tutto il creato,
oppure un orrendo
groviglio, una trappola infame.
Non so dove termini il sogno
e dove cominci la fame,
la realtà più palpabile
che offenda il mio corpo vivente.
I raggi delle stelle,
come una rete di fili
sottili sottili,
m'hanno inesorabilmente
avvolto il sistema nervoso,
lo spirito imbelle
e legato al sistema celeste.
Sepolto in una veste
d'azzurro, fra luci ed ecclissi,
sospeso al mio fievole inganno,
sorvolo gli spazi e gli abissi
con l'anima inerte, sopita...
Ah, le stelle, le stelle mi hanno
avvelenato la vita!...

Io non so danni ragione
che tutto quello sfarzo d'oro
si perda nei campi dell'etra,
o che quell'immenso tesoro
sia solo un'allucinazione
malata dell'anima illusa,
un'immagine prolissa,
o forse un'enorme Medusa
che rende di pietra
chi inconscio, ammaliato la fissa...

E nella fantastica ebbrezza
del mio desiderio, talora
inforco gli audaci destrieri
dei sogni, attingo
le stelle , sovrano di un'ora,
del loro diadema mi cingo;
o innanzi alla loro bellezza
innalzo un altare
bruciando i miei folli pensieri.
Ma il mio sacrificio non placa
la sete dei loro misteri.
Son come sopite baccanti
sui resti d'un'orgia ubriaca;
son come lontane Sirene
librate sulla notte opaca;
indecifrabili, incerte,
come quel grido che squarcia
talvolta le notti deserte,
messaggio dell'Inconoscibile,
svegliando gl'immemori cuori
degli uomini, breve e terribile
voce: Memento mori!...

E forse esse sanno, le stelle,
che cosa è la morte, che cosa
la vita, che cosa il destino,
e sanno ove tende il cammino
dell' eternità faticosa.
Lo sanno e in certe notti pure,
quando niell'aria remota
sembrano dolci creature
nutrite di silenzio,
forse per questo versano
dall'alto una lacrima ignota
sul mondo imbevuto d'assenzio!

Ma oltre i confini dell'aria,
dove il mio spirito erra
come un poeta randagio,
conosco una via solitaria
ignota al mistero malvagio
che tiene le vie della terra:
una striscia di luce
eterea, lontana,
che forse conduce
nei regni del sacro Nirvana.
È la Via Lattea, la strada
del cielo. Due piccole stelle
scintillano vivide e bianche,
immortali sentinelle,
ai due lati della via;
ma talvolta ai primi tocchi
dell'aurora sono stanche,
dolci e stanche come gli occhi
della Vergine Maria...

Quanti sogni ho lanciati
lungo quella bianca strada,
per cercare la sorgente
donde nasce la rugiada,
e non sono più tornati!
Han bevuto avidamente
forse il nettare maligno
d'una fonte avvelenata?
Li ha rinchiusi nel suo scrigno
qualche stella innamorata?
Forse Sirio? forse Vega?...
Ah, non so! Li attendo ancora,
come attendo la fortuna.
Torneranno in una piega
del mantello dell'aurora
forse, o chiusi nel mistero
d'una goccia di rugiada,
o nei raggi della luna?
Ah, li attendo, attendo ancora
i miei sogni e la fortuna!...

E mi libro nell'alto cercando,
il giorno, la notte; m'affondo
di nubi in un magico velo,
percorro gli spazi infiniti,
esule stanco del mondo
ramingo pei regni del cielo.
E al sole, alle stelle domando
la luce dei sogni svaniti,
sospiro dolenti parole,
ripeto un' eterna preghiera;
sempre ed invano fin quando
non si disciolgano al sole
le mie piccole ali di cera!...


+++



27-INSOFFERENZA

O mio piccolo cuore inverecondo,
che picchi sempre come un mendicante,
iO t'ho portato per le vie del mondo
in cerca del tuo sogno più distante;

via, fra le solitudini più arcane
t'ho condotto e gli strepiti più vivi;
fra le contesse e fra le cortigiane,
nei palazzi più splendidi e nei trivi

più foschi; t'ho gittato alle immondezze
ammonticchiate ai canti della via;
t'ho nutrito di gaudio e di carezze,
t'ho abbeverato di malinconia;

ho di te fatto un'ostia immacolata
offerta in sogno ad una bocca pura;
la tua vana stanchezza ho trascinata
pei crocicchi deserti alla ventura...

Ho prodigato a te filtri d'incanto
che dal, dolore sprem?no la gioia:
e nella gioia hai sospirato il pianto,
sempre tornando, vinto dalla noia,

nella tua gabbia, prigioniero insonne,
esasperato dalla nostalgia.
T'infastidivan gli uomini; le donne
ti facevan venire l'anemia!

M'hai chiesto quasi di fuggir dal mondo;
ed io t'ho segregato in questa cella
d'anacoreta, solitaria: in fondo
Napoli ride spensierata e bella.

T'ho fornita un'amante birichina,
anch'essa bella, anch'essa spensierata;
il caffè e latte sempre alla mattina,
meno d'un pasto mai nella giornata!

Tu m'hai spinto perfin delle superne
sfere dell'Arte a profanar le soglie:
anche in fiorir di primavere eterne
hai trovato un cader cupo di foglie!...

E ti rivedo qui, fra le tue fedi
sbattute, impenetrabile, profondo;
e ancora chiedi e non sai mai che chiedi,
o mio piccolo cuore inverecondo...

A che "sospiri ? A quelle bianche vele,
ali di cigno sull' azzurro mare?
Ancora inestinguibile, crudele,
ti punge l'ansia d'andare, d'andare?

Non t'obbedisco più. Mi costi troppo,
o mio piccolo cuor, troppo m'annoi!
Fuggi tu sol: ti libero al galoppo;
raggiungi quelle nuvole se vuoi:

nuvole d'oro, nuvole d'argento
che vanno sempre e non si stancan mai...
T'apro la gabbia: va, lìbrati al vento!
Ti sarò grato se non tornerai.

Sarai felice tu nel sommo oblio
delle cose terrestri, dell'amore,
di tutti i mali della vita, ed io
d'essere alfine un uomo senza cuore!


+++



28-L'ULTIMA META

Perché ti crucci, chiuso fra l'ombra dei tuoi tedi
e i tuoi sterili orgogli, o cuore vagabondo?
Che cosa vuoi? che speri? Chiedi qualcosa al mondo
ch'è cosi vario! Amore, gloria, ricchezze: chiedi!...

Voce che parli a un naufrago che si dibatte mesto,
stanco nel freddo oceano della sua solitudine,
lasciami in pace! Il fato sulla spietata incudine
ha frantumato tutto quello che al mondo ho chiesto.

E più non chiedo: colgo le facili ghirlande.
M'incutono terrore le cose troppo belle.
Non penso più d'andare a cingermi di stelle
il cranio: ho constatato che la distanza è grande.

Il mondo: non ci trovo nessuna varietà.
La stessa gente ovunque, le città tutte uguali:
in certi dì mi sembrano sepolcri colossali
prizzanti i fuochi fatui della felicita!...

Amai, credei, sperai... Passar su tutte l'acque,
contar tutte le stelle di tutto il firmamento,
rapir tutti i profumi dell'universo al vento,
ritrovar forse altrove un sogno che qui giacque...

Sognai tutte le mete; varcai tutte le porte;
tutte l'ebbrezze diedi all'anima rapita;
corsi perdutamente dietro alla dolce vita,
ma vidi ch'è una sola la verità: la Morte.

La Morte! O desolata amante, questa sciocca
umanità ti teme, t'mpreca ed io t'appello:
t'attenderò agghindato con l'abito più bello ;­
avrò il più ardente bacio per la tua fredda bocca.

Serenamente, vieni! Vedrai come al piloto
terribile, nel compiere l'estrema traversata,
sghignazzerà sul muso quest'anima dannata,
felice di varcare le soglie dell'Ignoto!


+++



29-L'INCUBO

Lo conosco: è uno spirito funesto
che m'insegue dovunque e mi tortura;
oggi mi ha preso e mi ha gittato in questo
paese, in quest'albergo di paura...

Ma che paese è questo? Per le strade
buie ho incontrato solo qualche nero
passante incappucciato, quasi rade
ombre migranti verso il cimitero.

Qui, solo un cameriere che sonnecchia
stanco, acciaccato forse da un malanno,
un gatto addormentato ed una vecchia
che sembra la Vendetta sul suo scanno.

E questa stanza? Tutto è polveroso,
vecchio, disfatto. Agli angoli s'annida
- sembra - il silenzio, truce, minaccioso...
Fa pensare alla stanza d'un suicida.

La lampadina elettrica, avvampata,
ha un riso bianco, attonito, di cieca.
Una mosca nel sonno disturbata
ha un rabbioso ronzio: forse m'impreca.

E questi oggetti intorno... Ognuno d'essi
con diffidenza il nuovo intruso scruta;
tra loro ne bisbigliano sommessi;
e sono tutti una domanda muta:

- Che vuoi da noi? - Dio mio, come disanima
tutto ciò! Com' è triste! E sono solo,
solo... Dov'è fuggito il mondo? Ho l'anima
squallida e fredda come quel lenzuolo

su cui dovrò passar la solitudine
d'una notte. Quel letto! Ho sopportato
chi sa quante miserie, e l'abitudine
l'ha reso così tetro e rassegnato!

Stanotte vedrò svolgersi la danza
disperata dell'ore: ad una ad una
io le vedrò passar per questa stanza,
ciechi fantasmi della mia sfortuna...

Ma chi, chi m'ha cacciato in questo sogno
di morte soffocato ed opprimente?
Voglio vedere gli uomini; ho bisogno
di parlar con un'anima vivente.

E m'attacco convulso al campanello.
Arriva trafelato il cameriere;
gli sorrido così come a un fratello:
- Senta... - lo prego invano di sedere.

Mi crede pazzo; tituba; si tuffa
in un inchino fino al pavimento;
accenna un sorrisetto: oh, com'è buffa
quell'ipocrita smorfia di spavento!

All'inferno, all'inferno se ne vada!...
Mi distendo sul letto. Ora mi sembra
che un torpore lentissimo m'invada,
si propaghi per tutte le mie membra.

Non s'ode nulla - pure quella mosca
s'è data pace - nella plumbea stasi...
Ed ecco, come un chiodo, un'idea fosca
mi si conficca dentro il cranio, quasi

sotto il martello d'un maligno fabbro:
la morte... Se venisse qui stasera?
Non uno che m'accenda un candelabro!
Non uno che mi dica una preghiera!...

No, Morte, no! Ti chiederò perdono,
se non verrai: mentisce chi t'agogna.
Io t'ho implorata ed ho mentito: sono
tutti, tutti i miei versi una menzogna!

Voglio strappare l'anima intristita
a quest'aride lotte, a questo dramma
di fantocci e riaccendere la vita
che mi si spegne a una più pura fiamma.

Ritornerò nel mio paese sozzo,
fra lo squallore delle mie brughiere,
pur di sfuggire a questo eterno cozzo
col fato... Cameriere! Cameriere!...


+++



30-RITORNO

Oh, l'acqua dell'oblio non potrò bere!
S'è disseccato il piccolo torrente.
E son fuggite ormai le primavere
ch'esso ha specchiate: inesorabilmente!

Mi cantavan d'amor queste brughiere
tristi e selvagge. Ed oggi hanno sgomente
voci d'afflitti spiriti, preghiere
che supplicano Dio perdutamente...

Che delusione! Andiamo, anima mia!
Fuggiamo! Non faremmo altro che intessere
vecchie ghirlande alla malinconia

e languir di sospiri e di seccaggine
sul crollo delle fulgide promesse,
sullo sfacelo della mia Cartagine!


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31-AUTUNNO

Batte l'Autunno grigiastro con freddo respiro alle
[soglie.

Giace la dolce Estate composta nel feretro: morta.
Come una squallida torma di spiriti in pena le foglie,
che l'implacabile vento in turbini densi trasporta,
la seguono verso il lontano sepolcro ignorato,
in vorticoso viaggio, funebre corteo disperato.

Assistono assorte al passaggio le trascolorate colline,
i filari dei boschi spogli come a capo scoperto;
guardan gli attoniti scogli dalle solitarie marine
la dolce morta migrare verso il sepolcro deserto.
E i nudi tronchi protendono all'umido cielo le braccia,
come supreme preghiere sotto un'ignota minaccia...

Ah, cadon pure dall'anima le foglie appassite! Deluso,
sembra confondersi il cuore alla squallida torma, che
[ieri
fu tutta un miracolo verde nel sole, un tesoro dischiuso
ai placidi sogni, ai fuggevoli amori, ai ridenti pensieri,
e udì bisbigliare nell'ombra una dolce menzogna,svanita
come i tuoi raggi, o Estate, come i tuoi miraggi, o Vita!


+++



32-MALINCONIA

Sei tu, malinconia?
T'accoglierò al tavolino,
come quand'ero bambino,
scrivendo una poesia.

Sul bosco che palpita in fiore?
sulle api che apprestano il miele?
sul mare cosparso di vele?
sul cielo perfuso d'amore?...

Ma no, non so più; non ho mai
saputo dir nulla di buono
e ho sempre parlato con tono
dimesso di noie e di guai

nei miei soliloqui selvaggi:
la vita che vivo, che vissi,
m'ha solo svelato gli abissi
preclusi alla luce dei raggi.

E allora che fare se questa
mania di poeta m'incita?
O cuore, cantiamo la vita
che passa, la noia che resta!

Nell'ombra del tedio che incombe
sull'anima spoglia di rose,
cantiamo, o cuore, le cose
defunte, cantiamo le tombe...


***



Ho tutti sepolti i miei sogni:
sono morti per la via,
abbattuti dai bisogni
della vita, in un accesso
di sconforto e d'etisia.
Li ho sepolti da me stesso
in un angolo del cuore,
senza gemiti di Musa,
senza accenti di dolore,
senza incenso, senza spese,
in silenzio, come s'usa
pei suicidi al mio paese.

Ho tutte sepolte
le mie fidanzate:
un'epigrafe ad ognuna,
che rileggo certe volte
nelle notti sconsolate
al chiarore della luna.
Certe notti, quando incombe
un silenzio sacrosanto,
entro cauto pel cancello
e m'aggiro fra le tombe
del piccino camposanto:
sosto un poco ad ogni avello
con ricordo e con rimpianto.

Ed ho il senso della vita
fluente come un fiume lieve
verso ignote prode:
un'ipocrita corrente
che accarezza e che corrode,
che dissolve inavvertita
il sogno che s'agita breve
nel flutto che va eternamente...


***



Dove sei, malinconia?...
È svanita su pei cieli
con un fascio d'asfodeli
raccolti nell'anima mia...

Ma io sono giovane ancora,
ed oltre la mesta fiorita
il giardino della vita
d'essenze balsamiche odora.

E l'anima ancora, sebbene
malata, sebbene delusa,
va in cerca affannosa d'un bene
lontano... O mia piccola Musa,

ritorna! Chi sa se potremo,
così, con le mani congiunte'
pregando! mandare un estremo
saluto alle cose defunte,

e nell' incanto lunare,
nell'oblio lene d'un'ora,
librarci pel cielo a cercare
se fra, le pieghe d'una stella
si nasconda una fede novella
che possa illuderci ancora!


+++



33-RICORDO DI UNA SERA D'ESTATE

Fu ieri: ricordate,
dolce straniera che mi fate scuola?
Fu ieri, fra le tombe abbandonate,
nella pace raccolta
d'un cimitero, dove una parola
d'amor vi dissi per la prima volta...
Ci portò forse il caso
in quel luogo di morte e di dolore,
o forse un sentimento
romantico? Non so: solo rammento
che una gloria di luce era l'occaso,
che una sola canzone era il mio cuore.

I pensosi cipressi,
ed i fiori appassiti sui sentieri
incolti, ed i riflessi
del sole ardente sulle fredde tombe,
e voi, biancovestita,
dolce, triste, leggiera a me d'accanto,
sbocciata come un fiore
dalla malinconia d'un camposanto...
Oh; tutto conferiva ai miei pensieri
una strana dolcezza,
una pace obliosa ed un rimpianto
di non so quali beni
perduti ed un sospiro,
un'ansia indefinita
verso non so quali promesse aurore
e quale nuova vita!
Sentivo solamente il vostro cuore
palpitarmi vicino ed ogni cosa
m'appariva la nota sovrumana
d'una musica immensa e maliosa
che giungesse da un'isola lontana...

E tacemmo, tacemmo lungamente,
assorti nel miraggio
di quell'ora fuggente,
mentre l'ultimo raggio
del sole che cullandosi moriva
in un talamo d'oro e di viola
confortava le tombe desolate
della sua luce viva
e d'un sorriso estremo. Ricordate,
dolce straniera che mi fate scuola?...

La sera ci trovò fra le rovine
del Colosseo, dove una pace azzurra
scendeva dalle stelle sibilline
Dove un giorno ruggivano i leoni
famelici e vegliava la paura,
oggi suonan canzoni
sentimentali nella notte pura,
quando la luna d'un sorriso bianco
ravviva l'ombra delle volte tragiche
ed il gigante stanco .
sembra indulga benevolo alla vita,
ed oblioso delle antiche stragi
alle dolcezze dell'amore invita...

Ah, tornerò fra quell'azzurra pace,
deluso e solitario, ombra smarrita,
ad evocar quell'attimo fugace
di sogno, oasi infinita
nel deserto dell'anima,
quell'attimo d'aurora
nella notte dell'anima,
che nel cuore e nel sangue mi rintocca,
e dall'ambrosia delle stelle ancora
berrò il profumo della vostra bocca!

Una nota, una nota
sola ascoltare ancora del poema
che ieri mi cantò l'anima vostra
in un'ora suprema
di sogno!... Sembra già così remota
la dolcezza di ieri,
e voi così diversa m'apparite,
mentre coi mesti e grandi occhi seguite
chi sa quali pensieri
migranti in una lontananza ignota,
e distratta ed immemore
mi domandate la declinazione
russa, così difficile,
così lontana dalla mia passione!

Io cerco invano richiamarvi a quello
che fu il sogno d'un vespero d'estate
e all'attimo più bello
del nostro sogno e a tante dolci cose
che Vi sembrano inutili e passate.
Sfiorite sono già tutte le rose
che sbocciarono ieri all'improvviso
entro l'anima vostra? E tante buone
parole, tanto oblio, tanto sorriso?...
Ah, ritorniamo alla declinazione!...

Non c'è speranza, Amica: io v'ho compresa!
Siete una strana creatura: mite,
buona quanto altra mai. Però, vi pesa
nel cuore tutto il gelo
delle steppe infinite;
vi pesa la tristezza
degli orrori veduti,
e nell'anima avete lo sfacelo
della patria lontana e l'amarezza
dei bei giprni perduti...

Amica, ahimè, sul cuore
una strana tristezza anche a me incombe,
un'ombra senza fine:
il mio povero amore
è nato fra le tombe e le rovine!


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34-LA STRADA MAESTRA

Dovunque, comunque io vada,
seguendo il randagio mio cuore,
ritrovo pur sempre la strada
maestra, la via del dolore.

E porto la croce pur io,
(per quanto vi sembri giocando)
come queL povero Dio
illuso di salvare il mondo.

Ma io non intendo salvare
nessuno, neppur la mia pelle;
io no, non aspiro a un altare
o a un regno al di là delle stelle.

Non sono che un naufrago sperso;
lasciatemi in pace, giudei!...
Che scrivo? Ma al più qualche verso,
o il conto dei debiti miei!

Lasciatemi in pace, ch'io viva
lontano dalla vostra guerra:
sui monti, suonando la piva,
sui campi, zappando la terra...

Rinnego ogni antica richiesta;
il tempio dell'anima è vuoto,
l'altare è deserto! Non resta
che un povero simbolo ignoto,

che forse ebbe nome Ideale,
Amore, e non è che un atroce
sogghigno, un avanzo spettrale,
un'ombra inchiodata a una croce.

Il cuore, pietoso viandante,
con sè questo morto trascina.
Le strade del mondo son tante:
cammina, cammina, cammina...

Voltare, qui a manca? lì a destra?
Il cuore profondO non bada:
si giunge alla strada maestra,
comunque, dovunque si vada;

e dalle viuzze che a lato
si perdono innumere e storte
ci tenderà l'ultimo agguato
l'estrema nemica: la Morte!


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35-VOCE

C'è una voce, una voce sovrumana
nella mia vita, che nell'ore incerte
mi giunge dalla plaga più lontana
dell'anima, mi stimola, m'avverte.

Ma invano! Innanzi ad ogni bivio, quando
stretta dal dubbio s'agita la mente,
m'indica la mia via con un comando:
io seguo l'altra inevitabilmente.

Balza dal cuor fulminea e mi predice
sicura: - L'amOr tuo ti tradirà -.
È quella stessa voce che mi dice:
- Vattene! - quando giuoco al baccarà.

Ma io non le do ascolto: mi tradisce
la donna puntualmente, e di consueto
rimango al baccarà fìnché languisce
l'ultimo scudo sul fatal tappeto.

La stessa voce assidua ed inspiegabile
- Non scrivere! - mi dice - È tempo perso... -
Invano: eccomi qui, duro, implacabile,
a rompere le tasche all'universo!


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36-L'OMBRA

Quando ritorno, nelle notti grevi
d'angoscia, alla mia stanza ove il bisogno
mi chiama al letto dei miei sonni brevi,

reduce chi sa donde - ah, mi vergogno
di dire dove vo, per quali orrende
strade trascino il mio fallito sogno! -

c'è sempre un'ombra muta che fra tende
d'ombre confusa, immobile e smarrita,
al tavolino fra i miei libri attende.

È la parte di me buona, sfuggita
all'onta; è quello che rimase ligio
all'Ideale al bivio della vita;

è l'"io" d'un tempo; è l'ultimo vestigio
del mio passato e della giovinezza
che si dissolve, in questo sfondo grigio.

Tutto è sepolto in fondo all'immondezza
bassa; è alimento allo spietato oblio,
senza più nome, senza più bellezza!

Ed io comprendo tutto questo, ed io
vorrei salvarmi e non so come: e spesso
tendo le braccia ad un ignoto Dio;

lo supplico contrito e genuflesso
perché mi dia la fede che mi manca,
perché m'aiuti a ritrovar me stesso!

O mi rivolgo a quella larva stanca
e solitaria, a quel fantasma chino
col capo triste sulla carta bianca,

sui chiusi libri; vado a lui vicino
e gli sussurro: - Porgimi la destra!
È l'ora: rimettiamoci in cammino.

Attenderemo l'alba alla finestra
e uniti dalla fede e dal perdono
ritorneremo sulla via maestra... -

Così prometto in sogno, umile buono
tenero, con nel cuore una suprema
estasi di dolcezza e d'abbandono...

Ma fuggo via con l'anima che trema!...
Lascio il quaderno che sul tavolino
attende desolato il suo poema,

lascio il mio ingenuo cuore di bambino,
i miei sogni più buoni sulla soglia;
corro a cercar l'amico o lo strozzino

che forse ancora non mangiò la foglia!


+++



37-DAI PROFONDI

Fratello, siamo stanchi, veramente
stanchi! Si legge in fondo al nostro cuore
un supremo disgusto, un veemente
odio, si legge un livido rancore

verso queste città, dove s'infranse
il nostro alato sogno di conquiste,
bagnato dalle lacrime che pianse
la nostra mamma abbandonata e triste.

Cercavamo la luce e la battaglia:
ed eccoci nell'ombra, pipistrelli
pazzi dannati contro la muraglia
d'un fato assurdo a romperci i cervelli!

Ed ecco l'ironia che ci ha gittati
nelle bische a tentar l'ultima sorte
sopra i tavoli verdi saettati
da un'ansia cupa di pupille accorte;

che ci ha spinti a subir tutto il sussiego
d'un signorotto di Montecitorio.
perché ci procurasse anche un impiego
molto modesto in un laboratorio!

E lontano, laggiù, la casa grande
dei nostri padri semplici e tranquilli
ci accoglierebbe adorna di ghirlande:
ritroveremmo i piccoli gingilli

d'un tempo; la carezza della mamma,
fatta più lieve, sulla nostra fronte
disperderebbe l'incubo del dramma
che ci lasciò le sue più triste impronte...

Ma siamo incatenati a questa rupe
senza misericordia! E l'avvoltore
ci guarda con pupille avide e cupe
e su noi scende e ci dilania il cuore.

Sotto il martirio che di lui si pasce,
piccolo mostro dalle mille vite,
il cuore infaticabile rinasce
alla sua fede ed alle sue ferite...

E tu, destino, tu mostraci il volto
del nostro Sogno, della nostra Idea;
dicci che questo è ormai l'ultimo svolto,
l'ultima sosta, l'ultima trincea;

dicci che questo straccio di bandiera
che stringiamo nel pugno insanguinato,
sia pure nella nostra ultima sera,
sventolerà sul culmine sognato!


+++



38-ALLA SCONOSCIUTA

Nulla di me tu sai: nè dov'io vada,
nè donde venga e meno ancor chi sia.
Domani tornerò sulla mia strada

- sola compagna la malinconia -
e penserò che un sogno passeggiero
accarezzò la stanca anima mia.

Resti meglio cOsì questo mistero,
dolce come una musica remota
che m'accompagni lungo il mio sentiero!...

Non chiederò di più. Sulla tua gota,
in una sola lacrima ho sentita
tutta l'ebbrezza e la dolcezza ignota

d'un mondo immenso. L'anima smarrita
sa che sei tu, tu forse il Sogno, quello
che s'incontra una volta nella vita.

E rinascer potrei come a un novello
giorno vicino a te, nella perfetta
gioia di questo sogno unico e bello.

Ma non posso, non so! Nulla m'aspetta
oltre la buia strada ove già manca
l'ultima luce della fede: e ho fretta!

È così dolce la tua mano bianca,
son così dolci le tue labbra lievi
sulla mia fronte tempestosa e stanca!

Ma mi spinge lontano, oltre i tuoi brevi
orizzonti, implacabile, un'arsura
cui non giova la fonte ove tu bevi:

questa sete d'ignoto, quest'oscura
forza che mi trascina ove le aggrada,
ove mai non si giunge, alla ventura.

Buona qualunque via, purchè si vada!
Alla mia meta porta ogni cammino:
ogni strada, sorella, è la mia strada.

Io non so dove vegeti il giardino
del mio sogno randagio e ove il mio Dio
mi chiami e ove m'attenda il mio destino.

E se quest'inno ch'arde oggi nel mio
petto sulle mie labbra affiora spento
nella canzone triste dell'addio,

è perché son dannato al mio tormento
che non ha tregua: il cuore vagabondo
m'incatenò lo spirito del vento.

E non potrò fermarmi mai... Ma in fondo
al mio fardello di miseria, accanto
a tutte l'ire e alle viltà del mondo,

serbo uno scrigno d'oro al mio rimpianto,
alla mia fede; e tutto che di buono,
tutto che dalla vita ebbi di santo

è lì racchiuso: io vi ripongo il dono
d'una dolcezza nuova che permane
oltre il fugace incanto e l'abbandono.

Amore! Io n'empirò le notti vane,
io ne profumerò le vie deserte
delle mie solitudini lontane!

E nell'ore più stanche, quando incerte
l'ultime stelle languiran sul mare
dei miei naufragi, a te l'anima inerte

in sogno approderà, per riposare
sul tuo tenero cuore, umile e muta,
per cercare il tuo sguardo, per baciare

le tue piccole mani, o Sconosciuta.


+++



39-SBADIGLI

Ho visto un vagabondo che schiaffeggiava il mare,
disteso sulla riva, per non saper che fare...
Per la ragione stessa, un altro i suoi conigli,
spietato, disarmava degl'innocenti artigli.
Ho letto di un re barbaro, che per atroce tedio
- invano i suoi buffoni cercavano un rimedio ­
chiamò a raccolta i sudditi come a una gaia festa
e a tutti, ad uno ad uno, fece mozzar la testa;
non soddisfatto, vinto ancor da estrema noia,
per ammazzar il tempo ammazzò pure il boia!
E il celebre Tommaso che oziò fin dalla culla
e si troncò la vita, stanco di non far nulla?...
Un altro, un pover'uomo sfuggito al manicomio,
essendosi annoiato, contrasse un matrimonio;
trascorso qualche tempo, avvelenò la sposa;
così, distrattamente, tanto per far qualcosa!
Il giudice insisteva: - Perché ? Ma come va?... ­
Tranquillo, sbadigliando, lui rispondeva: - Mah!... ­
Queste son noie tragiche!... Ed io che per istinto
mi sento alla mia pelle tenacemente avvinto,
ed io che non ho sudditi nè moglie nè conigli
e che in un'ora conto sessanta e più sbadigli,
per discacciar del tedio l'ore infinite e fosche,
d'inverno faccio versi, d'estate acchiappo mosche.
Son le due sole cose di cui posso far scempio
senza fatica e scrupoli... Sapreste, per esempio,
versi più mal ridotti di questi immaginare?
Strappateli! Li ho scritti per non saper che fare!


+++



FINE




Un ringraziamento di cuore al Signor Giuseppe Amoruso, residente in Cirò Marina. Grazie alla sua "testardaggine" ed al suo certosino lavoro, di ricerca e digitalizzazione, è stato possibile divulgare questa opera ormai introvabile.